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Allo Science Museum il connubio tra fotografia, arte e scienza

Creato il 22 giugno 2015 da Nebbiadilondra @nebbiadilondra

Erano gli anni Settanta del XIX secolo quando Eadweard Muybridge (1830–1904) posizionando 24 macchine fotografiche sistemate in modo parallelo lungo il tracciato e azionate da un filo colpito dagli zoccoli dell’animale, dimostrò al mondo che i cavalli sapeavano volare (o meglio che un cavallo lanciato al galoppo solleva tutti e quattro gli zoccoli). E se paragonata con quella dei cavalli al galoppo o degli uomini che camminanao Chickens scared by a torpedo non è di certo è la sua serie fotografica più riuscita o famosa, è certamente quella che ha il nome più divertente. Di certo batte in originalità i nomi del resto delle fotografie che abitano Revelations: Experiments in Photography allo Science Museum dedicate agli esperimenti dei primi fotografi vittoriani che, insieme agli scienziati dell’epoca, usarono la fotografia è per registrare fenomeni troppo veloci o troppo piccoli per l’occhio umano. Ma da quando fu inventata negli anni Quaranta dell’Ottocento anche gli artisti hanno dato un importate contributo alla fotografia, a cominciare da un pioniere della microfotografia come William Henry Fox Talbot (1800-1877) che fu anche l’inventore della tecnica della fotografia su carta salata, colui che dise che la fotografia era “un po’di magia che si realizza”. O dalla fotografa americana Berenice Abbott (1898-1991) che trascorse due anni a scattare immagini del movimento delle onde e di altri fenomeni fisici per il MIT Museum (Massachusetts Institute of Technology di Cambridge, nel Massachusetts).

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“Chickens scared by a torpedo” by Eadweard Muybridge, 1887

Le loro immagini sono esposte accanto a quelle di pilastri come Man Ray (1890-1976) e László Moholy-Nagy (1895-1946). E non sorprende, visto che fu proprio Moholy-Nagy a pronunciare la famosa frase: “Non colui che ignora l’alfabeto, bensì colui che ignora la fotografia, sarà l’analfabeta del futuro.” Accanto a loro, contemporanei come il giapponese Hiroshi Sugimoto e soprattutto l’israeliano Ori Gersht. Quest’ultimo (che ho scoperto negli ultimi anni) crea opere basate su dipinti di nature morte del Seicento e del Settecento spagnolo e fiammingo con fiori veri che poi congela e fa esplodere con la nitroglicerina catturando in digitale il momento culminante del processo. Sono immagini di una bellezza straordinaria realizzate con una tecnica raffinatissima. Costoro sono i veri eredi di questi primi fotografi, coloro che a due secoli di distanza continuano a catturare nelle loro opera la magia della sperimentazione e della sua astratta bellezza.

Blow-Up Ori Gershtprivate collection

Blow-Up Ori Gersht; private collection

Fino al 13 Settembre,

sciencemuseum.org.uk


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