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Almanacco

Da Fluente

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Nuovo apuntamento con l’almanacco di “GiardinoWeb” tante rubriche come sempre e tanti consigli per affrontare la prossima settimana,e iniziamo subito a vedere che tempo farà nei prossimi giorni.

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SINTESI PREVISIONALE SINO A VENERDI 2 luglio 2010:
sabato 26 giugno: qualche temporale pomeridiano su Alpi ed Appennini, per il resto bel tempo. In serata forse qualche temporale sul Triveneto.

domenica 27 giugno: refoli freschi da est verso la Valpadana spingeranno un po’ di nuvolosità sui monti del nord-ovest, favorendo qualche rovescio sui rilievi piemontesi e lombardi, altra aria fresca impegnerà le regioni del medio-basso Adriatico con temporali attesi soprattutto su Calabria, Basilicata e Puglia, tempo buono altrove, lieve calo termico.

lunedì 28 giugno: bel tempo ovunque, salvo residui addensamenti al sud con brevi rovesci pomeridiani in Appennino. Verso sera focolai temporaleschi isolati anche lungo le Alpi. Caldo, specie al nord.

martedì 29 giugno: bel tempo ovunque, nel pomeriggio sulle Alpi brevi temporali possibili.  Caldo.

mercoledì 30 giugno: bello ovunque, soliti isolati temporali pomeridiani e serali lungo le Alpi e sul nord Appennino. Caldo.

giovedì 1 luglio: bello ovunque.

venerdì 2 luglio: temporali sparsi sulle Alpi occidentali, bel tempo sul resto d’Italia, caldo afoso, specie al nord.

I lavori secondo la luna


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Nel frutteto si esegue la potatura verde delle drupacee e l’eliminazione dei polloni dal ceppo del castagno che in questo periodo inizia la fioritura.Si diradano i grappoli sulla vite, in particolare per l’uva da tavola in modo da ottenere acini più grossi e si asportano i succhioni nati alla base del fusto.Seminiamo le carote per  l’inverno, estirpate l’aglio e fatelo asciugare, prima di raccoglierlo in trecce.Legate i fusti delle dalie ai tutori, sbocciolatele e zappettate il terreno  superficialmente. Seminate le biennali.

Il proverbio


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Per San Piero (29 giugno), o paglia o fieno.

Tradizioni

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Salvia:  “Il salva vita”
II suo nome botanico deriva dall’aggettivo latino salvus (sano, salvo) e dal verbo salvere (salvare). Alcuni sostengono che provenga dal greco sòzo (conservo, proteggo) e da bios (vita), il che significherebbe” la pianta che conserva o salva la vita” ‘Tale immagine ha ispirato un racconto che consacra la sua fama e la erge ad emblema della salute. Narra una leggenda medioevale che la Sacra Famiglia in fuga verso l’Egitto, cercò aiuto per nascondersi dai soldati di Erode che volevano uccidere Gesù. Bussarono invano a tutti gli usci, chiesero riparo ad una rosa che si nego di essere sciupata e, per la sua vanità, da allora fu coperta di spine. Nelle vicinanze c’era una salvia fiorita che, alla richiesta della Vergine, aprì le sue foglie celando Gesù Bambino ed addormentandolo con il suo intenso profumo. Arrivati i soldati videro una donna con un vecchietto e non si fermarono. La Madonna benedì la salvia annunciandole che sarebbe diventata una pianta ricercata ed indispensabile, apprezzata e rispettata per le sue virtù. Chiamata salvia sanatrix dai Romani che, come riferiva la scuola di Salerno, la consideravano una panacea, le attribuivano molteplici poteri curativi.Tant’e vero si credeva che la vita e la salute del padrone di casa, della moglie e dell’ultimo nato dipendessero da quella della salvia, come spiegava un vecchio proverbio veneto: “Quando la salvia che è nell’orto perisce, morirà il padrone di casa o è già defunto” A sua volta la scuola Salernitana così sentenziava:”Tu molto vuoi campare salvia hai da mangiare”o “corne può morire chi ha una pianta di salvia nel suo giardino?”con evidente riferimento ai diversi malanni che essa può curare. Era considerata una pianta sacra a Giove, dalle grandi virtù magiche, in grado di spezzare qualunque maleficio. Nelle pratiche della notte di S. Giovanni la salvia era usata a scopo divinatorio, per stimolare la chiaroveggenza, le divinazioni. Kaspar Peucer suggeriva, in un suo trattato, di spargere all’aperto alcune foglie, delle quali avrebbe potato via qualcuna, e dalla conformazione delle rimanenti si traevano auspici, e foglie di questa pianta hanno un profumo talmente forte e particolare che sono state utilizzate in magia e durante i rituali religiosi. Si afferma che nessuno dovrebbe piantare la salvia nel proprio giardino, poiché porta male e bisognerebbe affidare questo compito ad un estraneo. Era considerata afrodisiaca: si tramanda la diceria secondo la quale Cleopatra, per conquistare gli uomini, avrebbe fatto uso della salvia e della ruta.

Il libro della settimana

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Russell Page (1906-1985), tra i massimi progettisti di giardini del XX secolo, deve il suo poliedrico percorso professionale a una formazione inconsueta per un paesaggista: intraprese studi artistici che, accompagnati a una forte sensibilità architettonica e ad approfondite conoscenze botaniche hanno sviluppato in lui quello straordinario intuito nell’approccio al territorio e nell’organizzazione dello spazio. Spesso, quando studiava un luogo per la prima volta, in lui l’artista predominava sul “giardiniere” – come amava egli stesso definirsi – per carpirne il vero carattere, il genius loci. Dopo gli esordi in Inghilterra, Russell Page lavorò in tutto il mondo, affrontando realtà e climi molto diversi tra loro: oltre a Parigi e alla Normandia, si trovò a progettare giardini dal Belgio alla Svizzera, dalla Francia meridionale all’Italia e alla Spagna. La fama rapidamente conquistata lo portò anche verso altre latitudini, in Medio Oriente, in India e nelle Americhe. Il contributo di Page era richiesto da una clientela ricca e raffinata, talvolta capricciosa, con la quale sapeva tuttavia entrare in sintonia per coglierne le esigenze e rispettarne le passioni. Viste ampie, distese d’acqua, siepi e spazi delimitati, sentieri e gradini, ma anche grandi prati, giardini di rose o di fiori diversamente abbinati a creare una variopinta rassegna di colori: è difficile definire uno stile nel suo lavoro. Con un testo di Paolo Pejrone.

Dettagli del libro

  • Titolo: I giardini di Russell Page
  • Autori: Schinz Marina, Van Zuylen Gabrielle
  • Editore: Mondadori Electa
  • Collana: Illustrati. Natura e giardinaggio
    Data di Pubblicazione: 2010
    Pagine: 255

    Itinerari Marchigiani

    Corinaldo

    Il nome

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    Trovandosi Corinaldo in prossimità della distrutta città romana di Suasa Senonum, la tradizione legge nel suo nome l’invocazione curre in altum (corri, fuggi verso l’alto) pronunciata dai sopravvissuti alla violenza dei barbari.Più probabile che il toponimo indichi un “colle in alto” o una “curia di Aldo”: in quest’ultimo caso si evidenzierebbe un’origine longobarda.

    La Storia

    • 1000 ca., al fenomeno storico dell’incastellamento si devono probabilmente le origini di Corinaldo, più che alla leggendaria ricostruzione, in posizione collinare, della romana Suasa, incendiata dai barbari di Alarico nell’anno 409.
    • 1360, avamposto strategico conteso dalle fazioni guelfe e ghibelline in lotta per il potere, Corinaldo, passata alla parte ghibellina dopo una lunga milizia nel segno della Chiesa, è distrutta dall’esercito pontificio guidato da Galeotto Malatesta.
    • 1367, Corinaldo viene ricostruita ex novo con l’attuale cinta fortificata. Ai Malatesta succedono gli Sforza e a questi i Della Rovere.
    • 1416, le possenti mura resistono all’assalto del famoso capitano di ventura Braccio da Montone. Anche l’assedio di Sante Garelli nel 1432 è respinto dalla strenua resistenza degli abitanti.
    • 1480, una nuova cerchia di mura con tutti gli elementi fortificativi dell’epoca viene costruita per rendere il luogo inespugnabile, probabilmente con il contributo del celebre architetto militare Francesco di Giorgio Martini.
    • 1503, Niccolò Machiavelli, in missione per conto della Signoria fiorentina, scrive il 1° gennaio da Corinaldo una celebre lettera sul duca Valentino (Cesare Borgia) che anticipa i temi – come il mito del condottiero – poi trattati nel “Principe”.
    • 1517, Francesco Maria, lo spodestato duca di Urbino, cinge d’assedio le mura ma dopo 23 giorni è costretto a ritirarsi. Papa Leone X premia la fedeltà dei corinaldesi elevando il borgo al rango di città.
    • 1640, terminano i lavori nella chiesa del Suffragio. Questo e il successivo sono i secoli d’oro per Corinaldo, che grazie alla protezione dello Stato Pontificio si arricchisce di nuove ed eleganti dimore e di importanti edifici religiosi.
    • 1786, Papa Pio VI conferma a Corinaldo il titolo di città.
    • 1860, annessione delle Marche al regno d’Italia.

    Un perfetto set per un film di cappa e spada

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    Arroccato in posizione strategica tra la Marca di Ancona e lo Stato di Urbino, il borgo di Corinaldo ha il suo simbolo nelle imponenti mura rimaste praticamente intatte dal Quattrocento.Se ne può percorrere l’intera cerchia, lunga 912 metri, con una suggestiva passeggiata guidata. Le porte, i baluardi, le torri di difesa, i merli ghibellini a coda di rondine, i camminamenti di ronda contrassegnano il paesaggio di questo raro esempio di città fortificata dove ad apparire incongrui sono i segni della modernità, come le automobili o i fili della luce.Perfetto set di un film di cappa e spada, Corinaldo ha il suo centro nella Piaggia, una scalinata di cento gradini verso cui convergono le case in mattoni rossi disposte a spina di pesce.L’ordito urbanistico della città comprende numerosi palazzi gentilizi e notevoli edifici civili e religiosi. Lo sviluppo artistico dei secoli XVII e XVIII è dovuto principalmente alla presenza di grandi personalità come il pittore Claudio Ridolfi, che a Corinaldo visse lungamente e morì, e l’organista Gaetano Antonio Callido, che qui ha lasciato due eccezionali organi a canne, uno dei quali donato alla figlia, monaca di clausura negli ambienti oggi occupati dalla Pinacoteca civica.

    Tra gli edifici pubblici, sono da vedere il Palazzo Comunale, bell’esempio di architettura neoclassica con il lungo loggiato che dà su via del Corso, l’ex Convento degli Agostiniani, costruito nella seconda metà del Settecento e ora utilizzato come albergo, il Teatro Comunale (1861-69) intitolato a Carlo Goldoni e la Casa del Trecento, che ospita la Pro Loco ed è la più vecchia del borgo. Le chiese rivelano tutta la spiritualità del luogo, rinforzata dalla lunga appartenenza allo Stato Pontificio.La Collegiata di S. Francesco ha origini antiche (1265) ma si presenta a noi nelle forme della ricostruzione secentesca e, ancor di più, settecentesca, quando fu edificato il convento (1749) e venne innalzata la nuova chiesa (1752-59).Il Santuario di S. Maria Goretti, con l’ex monastero ora adibito a Sala del costume e Biblioteca comunale, ingloba con fattezze settecentesche l’antica chiesa medievale di S. Nicolò. L’interno è un bell’esempio di tarda architettura barocca e custodisce numerose opere d’arte, tra cui una grande cantoria lignea che racchiude uno splendido organo di Callido del 1767. La Chiesa del Suffragio, terminata nel 1640, fu in seguito demolita e ricostruita per essere riaperta al culto nel 1779. Conserva il dipinto di Claudio Ridolfi che era stato collocato sull’altare maggiore il giorno della prima inaugurazione, il 6 gennaio 1641.Un altro organo di Callido si trova nella cantoria lignea sopra la porta d’ingresso della Chiesa dell’Addolorata, consacrata nel 1755.In piazza S. Pietro il campanile è quanto resta dell’omonima chiesa, demolita nel 1870 perché pericolante. Al suo posto troneggia un grande cedro dell’Himalaya, piantato, pare, da un anticlericale affinché non vi si ricostruisse un altro edificio religioso.E ora torniamo alle mura. Il primo impatto del visitatore è con la quattrocentesca torre dello Sperone, alta 18 m. e di forma pentagonale, attribuita all’architetto senese Francesco di Giorgio Martini e più volte restaurata. Tra le torri, spiccano anche quella dello Scorticatore (dove le mura raggiungono i 15 metri di altezza), quella del Mangano e quella del Calcinaro, che prendono il nome dalla professione che svolgeva chi vi abitava.Dalla Rotonda, invece, che fa parte dell’aggiunta rinascimentale terminata nel 1490, proseguendo verso il giro di ronda si accede ai Landroni, un corridoio porticato derivato dalla sopraelevazione degli edifici seicenteschi lungo via del Corso. Da lì si ritorna alle mura, che inglobano alcune imponenti porte bastionate.La parte più interessante della cerchia muraria è forse quella di Porta S. Giovanni, in quanto conserva inalterati molti elementi di difesa. L’architettura militare dell’epoca presenta in questo tratto tutto il suo corredo di saettiere, archibugiere, beccatelli, piombatoi e merlature.Girando verso il pozzo del Bargello si raggiunge la terrazza sopra l’arco della porta, da cui si può ammirare – come ha fatto il principe Carlo d’Inghilterra nel 1987 – il centro storico e la campagna sottostante, arrivando con lo sguardo fino  al Monte Conero nei giorni limpidi.

    Il prodotto del borgo

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    I vigneti del rinomato Verdicchio sulle colline intorno a Corinaldo danno un vino delicato, di colore paglierino tenue, dal sapore asciutto, armonico, ottimo per piatti a base di pesce.Non è ancora Doc ma promette bene il Rosso di Corinaldo.Il territorio offre anche olio extravergine di oliva, salumi, miele.

    Il piatto del borgo

    I passatelli in brodo di cappone sono una specialità della zona che deriva però dalla tradizione culinaria romagnola.I vincisgrassi, una sorta di lasagne al forno con strati di sugo, parmigiano, pasta e besciamella, sono tipici di buona parte delle Marche.L’oca arrosto, imbottita di salvia, rosmarino e aglio e contornata di patate tagliate a pezzi grossi, è un’esperienza da fare nei ristoranti di Corinaldo.


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