Sarà perché stamattina ho avuto un incidente e mi sono spaventata, sarà perché l’altra sera ero al computer che scrivevo e sulla tastiera ha cominciato a camminare una blatta e anche in quel caso mi sono spaventata ma in modo diverso. Sarà perché ho ricominciato a passare delle ore della mia vita in un posto che non mi piace, in cui non faccio niente che m’interessa (anzi, in questo caso, non faccio proprio niente) però a pagamento, e la cosa mi butta giù come poco altro.
Sarà tutto questo, saranno gli ormoni, sarà il caldo, saranno le lacrime che ormai ho smesso di riuscire a ributtarle giù. Dalle mie parti si dice che «si sono aperti i rubinetti». Io me lo ricordo il giorno in cui i rubinetti si sono aperti per la prima volta. È il giorno che identifico come quello in cui sono passata dall’essere una persona forte all’essere un budino di semolino, una cosa molliccia, semitrasparente. Con quel difetto del rubinetto aperto.
Del giorno che si sono aperti i rubinetti ricordo ogni dettaglio. C’entra il Parolaio, tanto per cambiare. Perché in tutte le cose che hanno a che fare con quanto sono cambiata rispetto a un indefinibile «prima» c’entra il Parolaio, che a settembre si sposa e io ormai non lo vedo da saranno anni. Dicevo, quel giorno. Quel giorno ero appena uscita da una sessione intensa di studio all’università, ero con DearLowe e il Parolaio mi aveva già distrutto il cuore. Ma ancora mantenevo una parvenza di dignità femminile, una sorta di imperscrutabile orgoglio grazie al quale camminavo a testa alta, anche se un po’ meno del solito. Sull’uscio del portone della facoltà io e DearLowe abbiamo incontrato Collegamica Femminista e Rivoluzionaria e ci siamo messe a chiacchierare. Non ricordo di cosa parlavamo, so che a un certo punto ho detto: «Vabbè, che muoia povero, pazzo e senza capelli». E proprio davanti a noi, con quella sua macchina che avrei riconosciuto tra mille pur non essendo capace di memorizzare targa alcuna, è passato il Parolaio. Allora ci siamo messe a ridere tutt’e tre. Perché non era lui il soggetto della mia invettiva, però poteva facilmente diventarlo.
Dopo qualche minuto, io e DearLowe ci siamo congedate da Collegamica Femminista e Rivoluzionaria e siamo andate verso Vanda la Panda e Tania la Peugeot. Girato l’angolo, il Parolaio era là, con il cofano aperto, impegnato a prendere roba da portare in un posto che io conoscevo. E lo conoscevo perché me ne aveva parlato lui in relazione a lei. Lei, la lei contro il cui spettro io avevo sbattuto il muso. Poche parole, uno scambio di battute. E poi quella locandina che aveva preso per me e che teneva in auto: era quella dello spettacolo di Marco Travaglio. Quattro anni cambiano un sacco di roba. Adesso lo schifo, Marco Travaglio. All’epoca mi piaceva parecchio.
Salutato il Parolaio, DearLowe mi ha chiesto se stessi bene. «Sì», le ho risposto. Poi l’ho implorata di non lasciarmi sola. Siamo andate in una piazza in pieno centro, ci siamo sedute su una panchina e io ho aperto i rubinetti. Non so dire per quanto tempo ho pianto e quanto forte, so che ho pianto coi singhiozzi, con DearLowe che mi abbracciava e mi diceva di farle uscire tutte, finalmente, quelle orrende lacrime. Le ho detto tutto quello che mi aveva ferita, tutto lo schifo che mi sentivo addosso. Da allora credo di non essere mai più stata uguale.
Piango per i film tristi e anche per le commedie romantiche con il lieto fine, quelle in cui tutti sono felici e contenti e i due protagonisti si sposano nel giardino di casa. Piango quando mi arrabbio, piango quando mi annoio, piango quando leggo un buon libro, piango quando penso alle cose brutte e piango di più quando penso alle cose belle. E non chiedetemi una definizione di «cose brutte» e «cose belle» perché non sono in grado. Non adesso che sto piangendo.
Non so perché, ha a che fare con il più profondo senso di sconforto che una sia in grado di provare. Quale sia la ragione riesco a ipotizzarlo, e quel senso di sconforto mi fa compagnia spesso. Perdo pezzi. Pezzi di vita altrui che vorrei fossero miei, pezzi di vita mia che mia dovrebbe rimanere e invece no. Pezzi di passato e pezzi di futuro. E poi perdo pezzi di presente, soprattutto quelli. Li recupero un po’ qua e un po’ là, faccio finta di essere parte di vite che non mi includono e scrivo post di cui domattina mi sarò abbondantemente pentita. Ma almeno sono arrivata a ora di cena senza aver messo un cd di Marco Masini.