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Altare Thotemico-Sogno Errando, di Gianni Sapia

Creato il 06 agosto 2013 da Athos Enrile @AthosEnrile1
Altare Thotemico-Sogno Errando, di Gianni Sapia Articolo tratto da MAT2020.
Non sono capace. Non sono in grado. Una delle cose che più apprezzo in una persona è quando sa riconoscere i propri limiti, quindi il primo a saperlo fare devo essere proprio io. E questo è uno di quei casi. Non ho le conoscenze, le competenze, un adeguato background. Sono sempre stato un feroce divoratore di hard rock, fedele alla Sacra Trinità chitarra-basso-batteria. Il mio corpo negli anni è stato attraversato mille volte dall’elettroshock delle chitarre di Page, Hendrix, Townshend e simili induttori di convulsioni e ora questo. Come si fa, come diavolo si fa! Calma. Ragioniamo. Intanto potrei iniziare con l’ascoltare. Allora ascolto. Il brano è D’Amore e Altri Tormenti ed è scarpetta nel sugo del jazz. Inizia con discrezione la batteria di Max Govoni, già collaboratore, tra gli altri, dell’orchestra ritmico-sinfonica diretta da Ennio Morricone, a cui si vanno presto ad aggiungere il sax di Emiliano Vernizzi, che si porta dietro un lungo elenco di importanti collaborazioni (Bobby Durham, Paul Jeffrey, Gianni Cazzola, Steve Grossman, Franco e Stefano Cerri ed altri) e il piano del talentuoso Leonardo Caligiuri sul letto di basso di Valerio Venturi, che preparano il terreno alla semina vocale di Gianni Venturi. Manca solo il violino di Gabriele Toscani, che calcherà il proscenio più avanti e poi ci sono tutti. Loro sono gli Altare Thotemico, gruppo della prolifica Emilia, che dopo quattro anni dal omonimo album d’esordio, con cui conquistano buona fama nel mondo del progressive italiano, ci raccontano in musica la proiezione onirica di Sogno Errando, dove il pur ampio abito progressive diventa stretto e viene ricucito con… con… con un sacco di cose! Jazz, fusion, psichedelica, RIO, ma nessun nome, nessun genere rende giustizia ad un opera che sembra avere più diramazioni di un apparato circolatorio. Lo stesso vocalist Gianni Venturi ha dichiarato in un intervista di qualche tempo fa: «Noi siamo quel che siamo, diversi da ieri e da domani, nessun disco ci rappresenterà mai veramente, perché nel momento che l’avremo finito saremo già cambiati! […]Una volta non c’erano tante distinzioni, sono nate oggi, una volta si suonava, non credo che i Genesis si chiedessero: ‘Chi siamo?’ E sopratutto non credo si chiedessero: ‘Che cosa stiamo suonando?’» e quindi ancora i miei dubbi sulle mie capacità e competenze si ripresentano come peperonata nella notte. Calma. Ascolto ancora. La trama iniziale di Le Correnti Sotterranee è intensa, fitta, hitchcockiana, ma diviene poi mutevole, ingannevole. Come un camaleonte, cambia colore della pelle in base all’atmosfera di fondo, dettata ora dalla voce, ora dal sax, ora dal piano, per abbandonarsi poi a digressioni ritmiche e sinfoniche proprie, qui sì, del progressive. È come attraversare un bosco fitto dove il sole fatica a farsi vedere, ma è solo uno dei panorami che si incontrano nel cammino, perché nel bagliore di un attimo i vocalizzi di Gianni Venturi e il violino di Gabriele Toscani ci teletrasportano in un mercato arabo, inebriati di odori di spezie orientali e sedotti da cobra sinuosi che fanno capolino dalle loro ceste, ammaliati dai movimenti dell’incantatore. E poi arrivo al terzo brano, Petali Sognanti e i miei limiti diventano quasi bastoncini fosforescenti nella notte. Piantala lì, non sei in grado, mi vien voglia di dire. Ma ascolto ancora, sono testardo, ho sangue calabrese nelle vene. È un brano visionario, un’ allucinazione lisergica alla Burroughs, dove il paranoico martellare delle percussioni accompagna distorsioni sonore e vocalizzi che si dispiegano in un testo surreale, fatto di frasi sconnesse senza un senso apparente, elementi che non lasciano scampo sullo stato allucinato che i Thotemici stregoni d’Emilia trasmettono in questo pezzo. Sono a metà album e inizio ad avere una nuova consapevolezza. Magari non come Paolo sulla via di Damasco, ma l’ansia da prestazione dettata dai miei limiti sta lentamente lasciando spazio ad un nuovo impasto viscerale. Sto imparando. Più vado avanti nell’ascolto e più mi rendo conto che le visioni sonore di Sogno Errando fertilizzano conoscenze a cui credevo di non poter ambire. Ormai non ascolto più, ci sono dentro. I sedici minuti e quarantasei secondi di Broken Heart non fanno altro che confermare l’impermeabilità della bolla sonora in cui sono caduto. Lo schema fatto di non-schema che si incontra in tutto l’album, qui raggiunge la sua sublimazione e nella parte cantata le sperimentazioni linguistiche e vocali di Gianni Venturi sembrano un phon puntato sull’appannato specchio della routine canora e la voce torna a riflettere l’anima. Gli strumenti danno nervose pennellate al quadro d’insieme accendendo acide luci di psichedelica e di chissà che altro. Forse a sproposito, ma non posso fare a meno di pensare ai vecchi film in bianco e nero che Andy Warhol girava con la sua cinepresa Bolex. Geniale e acida sperimentazione in entrambi i casi. Vado avanti, ora con meno paura, mi sembra di iniziare a capire. Arrivo a Porpora e l’inizio di piano da fumoso bar mi riporta alla Berlin di Lou Reed. Ma il cielo sopra l’Emilia di Altare Thotemico riprende subito il suo carattere di fusione e sperimentazione di voce e suoni, che sembra tagliarti il fiato e che sul finale si concede un’apparente normalizzazione armonica grazie alla sviolinata di Gabriele Toscani. Violino che segue l’apertura vocale della title track, penultimo pezzo dell’album. Siamo verso la fine, ma i ragazzi non danno segno di cedimento, un po’ come quando hai quella sensazione che se andiamo ai supplementari vinciamo noi. Ormai hanno rotto il fiato. Rimbalzano senza sosta dall’acidità del sax alla melodia del piano, dalle sottolineature vocali e ritmiche alla fluidità del violino. Ma i legacci della camicia di forza del buonsenso musicale vengono definitivamente strappati con l’ultimo brano, Neuro Psycho Killer. Sulle orme di Petali Sognanti, anche qui i ragazzi sembrano essere caduti da piccoli nel pentolone dell’acido lisergico, salvo poi indirizzare il tutto verso una melodia coinvolgente, che accompagna chi ascolta sul sentiero di una tecnica musicale sopraffina e ricca di estro. Chiudo ringraziando gli Altare Thotemico. All’inizio avevo paura di non essere in grado di affrontare un album concettuale come Sogno Errando, ma loro, con la pazienza di un vecchio professore, con la loro tecnica, con la loro voglia di esplorare, mi hanno insegnato che nella musica, come nella vita, non bisogna vivere di certezze, perché la musica non è, la musica diviene.

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