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- Scritto da Stefano Lorusso
- Categoria principale: Le nostre recensioni
- Pubblicato: 30 Novembre -0001
Preparava personalmente il pane per tutti i membri della troupe. Discuteva il montaggio finale dei suoi film con l’intero cast, in grandi assemblee collettive. Pur di girare i film a cui teneva ha più volte rischiato di perdere tutti i suoi soldi. In una, decisiva, occasione scommettendoli sulle corse dei cavalli. Personaggi come Robert Altman non nascono tutti i giorni. Nessuno come lui nel cinema americano è stato irrefrenabile pioniere e feroce iconoclasta. La sua filmografia somiglia in tutto a una vita, alla suavita, riproducendone la complessità, la polifonia e il caos. Mentre la sua eredità artistica è a pieno titolo riconosciuta nel bagaglio di molti importanti cineasti delle ultime generazioni, a cominciare da Paul Thomas Anderson, il canadese Ron Mann ha scelto di omaggiarla con un documentario, presentato a Venezia 71. Il primo ufficialmente dedicato ad una delle figure più eccezionali del cinema statunitense. Un’operazione non facile vista la vastità dell’universo altmaniano, ma nel complesso sicuramente riuscita.
La proteiforme carriera del cineasta di Kansas City è ricostruita in un viaggio che parte dagli esordi come sceneggiatore e regista televisivo e si conclude con l’ultimo, struggente epitaffio di Radio America (2006). In mezzo, insieme a brevi cenni su una vita privata sempre tenuta un passo dietro la macchina da presa, si susseguono ricordi e commenti su capolavori assoluti come M*A*S*H (1970), I Compari (1970), Il Lungo Addio (1973), Nashville (1975) e America Oggi (1993). Insieme ad un elegante lavoro di elaborazione grafica che parte dalle locandine originali, il valore aggiunto del documentario si trova in una interessante e originale intuizione: inserire negli intervalli che separano i segmenti dedicati ai diversi film alcune risposte, date da amici e collaboratori storici, alla richiesta di definire l’aggettivo “altmaniano”. Attraverso i volti che appaiono sullo schermo riaffiorano dalla memoria momenti straordinari del suo cinema: Keith Carradine, Elliott Gould, Julianne Moore, Lily Tomlin, Robin Williams. Ogni membro del clan-famiglia regala un tassello di un ritratto che continuerà per molto tempo ad essere fonte di ispirazione. Pochi uomini di cinema hanno avuto il privilegio di “diventare” un aggettivo. Un singolare scherzo del destino ha riservato questa sorte proprio ad uno dei cineasti più indefinibili, liberi e meno etichettabili di sempre.
Voto: 2,5/4
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