Ve le ricordate le 5 cose che non vorrei più leggere su un Travel Blog? Ecco, oggi ne arrivano altre cinque. Non è cattiveria, intendiamoci, ma più un processo automatico il mio: più scrivo, e più leggo. E più leggo, e più trovo scrittura scadente. E, dato che giudicare la scrittura altrui è senza dubbio più semplice che criticare la propria, riuscire a mettere nero su bianco gli errori più comuni diventa l’unico metodo effettivo per tenerli a mente ed evitare di caderci in prima persona, più che un modo di accusare quel qualcuno, che come ogni volta non mancherà ad offendersi. A volte per ispirazione, a volte per semplice curiosità, mi capita di scorrere tra decine e decine di blog e siti di viaggi in cerca di pezzi originali, di articoli ben costruiti che riescano ad attirare la mia attenzione. E questo è proprio il problema. Come la maggior parte degli utenti di internet la mia soglia di attenzione è molto limitata, e come capita a tutti, quando una pagina ci annoia, la abbandoniamo, senza pensarci due volte.
Questa realtà, per quanto cruda e superficiale possa apparire, è un dato di fatto. Bastano meno di dieci secondi per giudicare cosa vale il nostro tempo. Le opzioni per chi scrive, a questo punto, sono due. La prima è pubblicare concetti chiari che vengano recepiti all’istante, ad esempio immagini e titoli ad effetto, che non necessariamente rappresentano la realtà ma spingono i lettori a rischiare il click, mentre la seconda è coltivare la difficile arte di stimolare la curiosità, esercizio non sempre diretto, che migliora con il tempo e la sperimentazione. Il primo caso, l’effetto sorpresa, è una tecnica che ha avuto e continua ad avere successo in molte situazioni sia on-line che off-line, ma è come buttare briciole ai piccioni. Ne arrivano un sacco, ma poi lo vedono anche loro che sono solo briciole. Il secondo caso è quello che non solo paga sul lungo termine, ma accresce la passione e può regalare soddisfazioni concrete. Costruire uno stile, scegliere le parole e ordinarle in modo creativo, è il bello di scrivere. Saper rendere i propri articoli interessanti è il passo successivo, necessario per chi vuole dar valore al proprio lavoro.
Mentre quindi l’altra volta mi sono concentrato più su categorie di articoli che non vorrei leggere, specificando post che a mio parere non hanno senso di esistere, oggi vorrei discutere di quegli stili di scrittura che rendono lo schermo più piatto di quello che già è. Queste sono le (altre) cinque cose che non vorrei più trovarmi a leggere su un travel blog:
- Scrittura morta. Sembra quasi che non si voglia più uscire dagli schemi. Tutto è standard, anche i blog. Questo accade per colpa della cosidetta comunità, di tutti i blogger di un dato settore, nel nostro caso i viaggi, che in qualche modo, stando in contatto, cercando di supportarsi a vicenda, creano un rapporto che apparentemente aiuta un po’ tutti. La realtà è che i blogger passano più tempo a copiarsi tra di loro che a cercare idee innovative. Avere una community, una cricca, può aiutare in termini di visibilità, è vero, ma nei limiti. Perché spesso ci si dimentica che la visibilità, quella vera, si ottiene soltanto con i contenuti, e non ha importanza quanti commenti ci si lasci a vicenda se poi si finisce tutti per scrivere nello stesso modo, articoli scritti più per conformità che per diletto. Cambiate qualcosa, metteteci una bestemmia, guardate fuori dalla finestra. Insomma, un po’ di vita.
- Mancanza di sperimentazione. Vi capita mai che scrivete un articolo e non siete sicuri se sia qualcosa di buono o una merda finché non lo pubblicate? Ecco, questo è un bene. Troppe volte mi capitano articoli sotto gli occhi che tendono ad utilizzare aggettivi consumati (vedi spettacolare, meraviglioso, bellissimo), per paura di mettere insieme parole che non hanno senso. Quelle combinazioni, sono ciò che cerco e ciò che manca. A mettere in fila frasi costruite da altri sono bravi tutti, le descrizioni di spiagge con sabbia bianca e acqua cristallina sicuramente non mancano, ma trovare la genialità nella costruzione di un paragrafo è cosa rara. E si sbaglierà, si diranno cose che non hanno né capo né coda, ma sempre meglio che rimanere nella media.
- Racconti lineari. Un racconto di viaggio non è il viaggio. Non deve andare nello stesso ordine, e soprattutto non deve andare dall’inizio alla fine. Quando leggo un paio di paragrafi soltanto per raggiungere il luogo che so già che il nostro protagonista raggiungerà (perché me l’ha detto nel titolo), mi chiedo se sia il caso di cominciare a leggere dalla fine. Mescolate un po’ gli eventi, partite dalla fine e finite con l’inizio, che almeno uno si incuriosisce un po’. Come si sono evoluti gli eventi ha poca importanza. Pensate a ciò che conta: cosa è successo, perché è successo, dove è successo. E magari scrivetelo in quest’ordine.
- Dire tutto. Ecco, non c’è cosa peggiore di un racconto lineare dove è descritto ogni singolo dettaglio. “Mi sono svegliato, sono andato in bagno, ho preso il caffè, poi l’autobus, poi l’aereo, e infine sono arrivato a New York”. Chissenefrega. Capisco che tornati da un viaggio venga spesso voglia di condividere la propria esperienza nel modo più completo, ma la realtà è che la maggior parte delle cose che compongono la vostra giornata non diventano automaticamente interessanti solo perché sono accadute all’estero. Tagliate il superfluo, curate i dettagli che contano, che regalano valore alla storia. Anche una pagina di diario perde il suo senso se le cose da ricordare diventano tutte le cose che succedono.
- Non avere un punto. Ecco, questa è quella cosa che non solo mi fa cambiare pagina, ma mi fa spegnere il computer e lanciarlo dalla finestra. Il senso stesso dello scrivere è esprirmere le proprie opinioni. Avere un punto di discussione, diffondere un’idea. Eppure continuo a trovare blog che riempiono schermate di testo senza dire nulla. Questo accade principalmente in pezzi strettamente descrittivi, privi di una storia di fondo, che tentanto semplicemente di dipingere una destinazione. Va bene, ma oltre ai prati verdi e le vette bianche, tu cosa ne pensi? Qualcuno una volta mi disse “Se non hai niente da dire, non dirlo”. Ecco.