Premessa: per quanto io possa tentare di raccontarvi al meglio i racconti di Bernard Friot (quelli contenuti nella sua ultima raccolta – “Altre storie a testa in giù” – così come quelli narrati nelle sue precedenti tre, tutte pubblicate in Italia da Il Castoro), per quanto io, forte di una certa esperienza con i libri per bambini, possa impegnarmi per renderne spirito e ispirazione, effetto e costruzione, avrò sempre un impedimento che mi renderà impossibile il cento per cento dell’affinità con gli scritti dell’autore francese.
Questo increscioso, imperdonabile, insormontabile ostacolo è presto detto: sono un adulta.
E, ne sono abbastanza certa, per quanto si possa essere adulti illuminati, per quanto si siano allenati percezione e giudizio leggendo pile e pile di testi per l’infanzia, una differenza, sottile quanto basta, rimane. Un ultimo velo dei mille pedagogico-educativi che noi grandi, volenti e nolenti, finiamo per frapporre tra noi e le storie resta, esattamente quella nebbiolina finale, così rarefatta da essere quasi impercettibile, che con Friot viene inesorabilmente, senza troppi complimenti e cerimonie, dipanata.
Spirito bambino senza se e senza ma, senza morali fintamente didattiche, senza buonismi fintamente ingenui, senza lieti fine fintamente protettivi.
Prendere o lasciare.
Io ho preso. E, anche se oberata dall’innegabile peso dei miei anni,me la sono anche parecchio spassata.
Perché basta arrendersi – con gioia direi – al fatto che qui i mezzi non sono affatto asserviti ad un fine, se non quello di sorprendere e divertire, per gustarsi la lettura di racconti veloci e spiazzanti, agili e imprevedibili, coraggiosi e freschi. Di quelli da affrontare con tutti i sensi all’erta perché non si può mai sapere dove potrebbero condurti, se per la via tracciata o per altre, strabilianti, che da un momento all’altro avrebbero l’ardire di rivelarsi.
Lo sguardo, va da sé, è quello dell’infanzia, un’infanzia che viene maneggiata con cura e trattata con rispetto, che non si appiattisce sulla visione che fa di tutta l’erba un fascio ma si rivela, come è giusto che sia, multiforme e variegata.
Un occhio sul mondo dei bambini che è capace di vedere e accettare tutte le sfumature del loro animo, da quelle più tenere a quelle più fragili, da quelle più giocose e limpide a quelle meno luminose, senza che si manifesti tentativo di giudizio, interpretazione o inquadramento.
Di quei grandi che hanno il cuore arido di fantasia ed empatia, che manifestano l’istinto noiosissimo ad educare con le ramanzine, piuttosto che con l’esempio, l’amore e la vicinanza.
Ed è così che bisogna svelarne le mancanze quando rimproverano senza fine, quando cadono in contraddizione, quando non hanno tempo per le giuste attenzioni ai figli, quando manipolano il linguaggio e lo usano a proprio piacimento, quando costringono a stare fermi e buoni, quando danno punizioni…
E’ ricchissima di emozioni, di paure, di batticuori, di immaginazione, di ricerca di sé, di eventi quotidiani che si fanno magici o paurosissimi, di fiabe, di giochi molto seri, di poteri speciali.
Tutto ciò che anima la vivacissima mente bambina si fa materia di storie, le quali, fedelmente, ne ricalcano l’irriverenza, la libertà, la creatività, la resistenza, ostinata e vivace, ad ogni inquadramento.
Nascono così racconti spiazzanti e surreali, briosi e acuti, in alcuni punti gustosamente cattivi, in altri puntuti a toccare la ferita proprio là dove duole, in altri ancora lievemente dolorosi ad aprire varchi di riflessione per chi, non più bambino, si trova a leggere.Si percepisce la ricerca e l’attenzione dell’autore nei confronti del linguaggio, il gioco sapiente che porta avanti con i vari generi letterari – dal poliziesco all’horror, dal romantico al fiabesco – la capacità di costruire le trame impeccabilmente portando il lettore esattamente là dove si vuole per poi, a proprio piacimento, lasciarlo cadere giù o regalargli il gusto di una sonora risata.
La narrazione è modulata sempre secondo il registro che si intende conferire alla singola storia, la prosa può farsi asciutta o ampliarsi, ristringersi o appesantirsi, scivolare nel dialogo senza narratore, farsi resoconto, diario, arricchirsi di suggestioni o scrollarsele tutte di dosso per restare secca e pungente. E’ materia fluida che viene modellata ad arte.
Allo stesso tempo, però, tutto il libro – tutti i libri, direi – mantengono un’impronta personalissima, un marchio di fabbrica che li rende inconfondibili, una verve irresistibile e calamitante che fa sì che ogni racconto venga consumato così come le ciliegie: uno e via l’altro, fermandosi solo sulla parola fine.
Una menzione sicuramente ampia e appassionata meritano le colorate e frizzantissime illustrazioni di Silvia Bonanni, le quali, a mio parere, sono perfette per interpretare lo spirito sfaccettato di Friot, ingentilendolo perfino un poco.
Si tratta di disegni parzialmente realizzati a collage dal tocco, allo stesso tempo, fine e giocoso, un po’ buffo, un po’ stralunato, eppure sempre sagacemente pertinente al momento narrativo.
Bambini e adulti dalle grandi teste e gli occhi espressivi, imbronciati o sorridenti, arrabbiati o stupiti, danno, come le storie, l’idea della vivacità incorreggibile dell’infanzia, del guizzo sempre fuori dalle righe, della fantasia che non si arrende e si prende le sue giuste, piccole o grandi, vendette.
(età consigliata: da otto anni)
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