Venerdì sera ero allo Stadio a vedere Roma – Napoli.
Quando ci siamo seduti era tutto normale. La Curva Sud che sventolava le bandiere, padri con figli, ultrà che non avevano trovato posto in curva ricoperti di tatuaggi e con il peggior dialetto della città, turisti (un sacco di tursti), l’angolo del Napoli che si tirava petardi con la curva nord e si ricopriva di rumori intermittenti e fumo, i ragazzi che facevano su e giù con le birre e il caffé Borghetti. Tutto normale.
Se non fosse che ad un certo punto, uno di quei ragazzi ha attirato alla mia attenzione. Erano ancora le otto di sera, inizio partita e aveva gli occhi scavati da un’ombra, lo sguardo stanco. Era grosso di corporatura con la barba folta e riccia e i capelli anche. Se avessi dovuto indovinare avrei detto senza ombra alcuna di dubbio che era un ragazzo calabrese e avrei detto che aveva un disperato bisogno di soldi.
Guardo la partita, ma ogni volta che passa lui e poi gli altri mi distraggo a guardarli. La maggior parte, tranne lui ed un altro, sono giovani nord africani.
Ognuno di loro porta su e giù per le scale per tutto il tempo della partita a partire almeno da un’ora prima del fischio di inizio, una cassetta piena di botiglie di birra, di cola e di acqua. Ogni volta che gli chiedi una bibita si fermano, te la aprono, te la versano in un bicchiere di plastica per motivi di sicurezza (scongiurare il lancio di bottigliette per tutto lo stadio) il tutto senza mai posare la cassetta ed in equilibrio sulle scale. La cassetta deve essere pesante. Ognuno di loro ha usato almeno un rotolo di scotch per rendere il peso su un’unica spalla meno tagliente. Forse dentro c’è un panno che abbraccia la cinghia e viene chiuso con il nastro. Ad un certo punto, il ragazzo che mi ha colpito con gli occhi stanchi, sale anche con una busta piena di altre cose, arrampicata sull’altra mano: gelati. E’ una gara a chi riesce a portare più cose, a fornire più varietà ai tifosi che hanno fame, sete continuamente. Non si fermano mai, continuano a fare su e giù. Non vanno mai in contrasto tra di loro, cerco di capire se tra loro ci sono regole, se si sono divisi il mercato e in quale modo lo hanno fatto se lo hanno fatto. Non riesco a capirlo, forse ce ne è per tutti e litigare non è possibile. Non se fai quel mestiere. Mi chiedo se i due ragazzi italiani fanno più soldi dei ragazzi africani e se sono scelti preferenzialmente.
Provo a pensare a quanto peso si stanno portando su e giù per le scale. Una cassetta di plastica, sempre piena di bottiglie di acqua e di birra da 0,50. Dentro ce ne sono almeno una ventina. 10 litri sono circa 10 kg, tutto su una spalla e a sbattere sulla coscia che aiuta a salire le scale. La mattina dopo avranno le spalle doloranti e i lividi su ogni coscia. Chissà se c’è qualcuno la mattina dopo che gli conosce quel dolore.
Penso a come si diventa bibitaro, come ti viene in mente di farlo, chi decide che puoi farlo e quante volte lo fai (ai concerti, alle partite). Penso se hanno un contratto. Se gli pagano i contributi, se cascano dalle scale – che salgono e scendono senza guardare con il braccio alzato e due bottiglie in mano per fare “promozione” – se sono assicurati. Mi chiedo se qualche sindacalista ha mai parlato con loro. Mi chiedo se hanno un fisso. Secondo me no. Sono troppo agguerriti, si vede che anche se hanno un fisso è molto basso, e devono guadagnare sul variabile (ma non lo so con certezza, quindi se qualcuno possiede questa informazione mi piacerebbe saperlo).
Mi chiedo se il bibitaro, come altri mestieri strani a cui nessuno fa caso, rientra nei mestieri difesi, regolamentati, assicurati e via dicendo. E mi chiedo se qualcuno da qualche parte si sta occupando di tutti questi “altri lavori”, diversi da quelli in cui siamo abituati a ridurre, superficialmente, il mondo del lavoro.