Bianconiglio, Vittorio Veneto.
È una notte buia e tempestosa quando arriviamo a Vittorio Veneto, nonostante sia maggio e nonostante non sia proprio notte. Questo colpo di coda di novembre (quello finlandese, probabilmente) in Italia non è l’unica sfiga che s’è abbattuta sugli Aluk Todolo: si trovano qui al Bianconiglio solo all’ultimo secondo, di fronte a pochi maniaci, perché la loro data a Milano di oggi è stata improvvisamente cancellata (pare che ieri a Lubiana, invece, sia andato tutto bene).
In apertura c’è Lussuria (Hospital Productions), già passato di qua per il Three Days Of Struggle. Si tratta di un’esibizione brevissima, durante la quale s’intuisce un forte legame (non sappiamo quanto cosciente) con il Cold Meat Industry sound più brumoso e depresso. Troppo poco per giudicare, ed è un peccato perché è un nome che – complice il marchio Fernow sulle uscite – sta cominciando a calamitare attenzione.
Gli Aluk Todolo sono Antoine Hadjioannou (batteria), Shantidas Riedacker (chitarra), Matthieu Canaguier (basso). Il simbolo luminoso proiettato alle spalle del gruppo è la “a” nell’alfabeto enochiano. La lampadina accesa che penzola davanti ai ragazzi è l’unico e perenne addobbo del loro live set. Il nome Aluk Todolo ha a che fare con il rito funebre di un’antica popolazione indonesiana: rito, con gli Aluk Todolo, è la parola chiave (circolarità è la seconda). Il suono della band deve qualcosa al black metal, quello primigenio, psichedelico e non ancora codificato: ne conserva soprattutto gli aspetti sinistri e macilenti (non dimentichiamo che Antoine Hadjioannou viene dai Diamatregon Un’altra influenza per i tre è rappresentata dal kraut rock, specie dal motorik dei Neu!. Stasera viene fuori soprattutto quest’ultimo aspetto, che era evidente nel loro sette pollici di debutto e che si percepisce molto anche nell’ottimo Occult Rock (2012, Ajna Offensive), dove è unito a dissonanze e sempre a qualche spunto chitarristico più black. Pazzesco, poi, sentire – attraverso il filtro dei Neu! – somiglianze tra un loro pezzo e i Joy Division più veloci di Unknown Pleasures. Rimane fuori da questo concerto l’andamento doomeggiante di Descension (Public Guilt, 2007) e Finsternis (Utech, 2009), che erano sì il risultato di influenze kraut, ma più che altro della loro rilettura a opera dei primi This Heat (basta confrontare “Burial Ground” degli Aluk Todolo con “Horizontal Hold”), risciacquata poi in acque black, noise e – appunto – doom.
Dal punto di vista esecutivo il gruppo non ha problemi e mantiene l’intensità giusta: sugli scudi Hadjioannou, bravo tecnicamente e molto deciso. Se – come prima mossa – si vanno a cercare similitudini col metal, molto probabilmente si finisce fuori strada: per restare fermi al contemporaneo, il loro live in questo momento è la versione nera di un concerto dei Maserati o delle Nisennenmondai.
Io ho una preferenza per gli Aluk Todolo lenti, ma oggi, di fronte a così poche persone poi, si sono dimostrati comunque un signor gruppo.
P.S.: grazie al Bianconiglio, che ci ha fatto il regalo in extremis.
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