
Ad un primo livello Alvorada Vermelha ci appare come la ripresa di uno spaccato giornaliero all’interno del mercato locale; introducendoci al sorgere del sole dentro il capannone, gli autori rispettano una sorta di temporalità che sottolinea il realismo ricercato: dentro si susseguono i preparativi in attesa dell’apertura, il montaggio e gli angoli di visuale utilizzati trasformano la routine in un’ipnosi destabilizzante, non succede niente di particolare dietro questi banconi, eppure perché è così difficile distogliere lo sguardo? Ad un secondo livello le attività dei commercianti colte nella loro reiterazione disturbano; il titolo allora acquisisce un altro significato: l’alba rossa gronda di sangue, quello di galline sgozzate di fronte a stie zeppe di proprie simili o quello di pesci squartati che con metà del proprio corpo scattano nervosi. Nessuna accusa da parte di João & João, nessuna apologia animalista (d’altronde è ciò che si ripete ogni giorno in ogni mercato del mondo), più semplicemente l’atto di esserci, di presenziare i rituali che si consumano come se niente fosse (stupefacente la rapidità con cui un tizio ripulisce un pesce), cinema-testimonianza che è lì senza giudicare, mosso da uno spirito curioso e contemplativo, in uno spazio dove tra l’indifferenza generale tutto oscilla tra la vita e la morte. Ma ad un terzo e ultimo livello si va oltre il realismo sopraccitato, ed è bellissimo, e bisogna ringraziare il cinema che ha la capacità di dare sfogo all’immaginazione, di rendere possibile l’impossibile, di instillare il surreale nel reale, è questo di cui ha bisogno la settima arte oggi, apertura all’irrazionale con i piedi piantati per terra, e il piacere incredibilmente rasserenante di poter scorgere una sirena in un mattatoio del genere.