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Gli amabili resti sono le suggestioni che ti rimangono dopo la visione,sono le lovely bones lasciate sul divano allorchè la mente divaga quando ,filtrato dallo sguardo di Susie Salmon, ci si trova in un limbo incantato color pastello che esplora la parte più calda della tavolozza cromatica. Il mondo di qua è buio è tenebroso, quello di là letteralmente inondato dalla luce,quello che sta tra i due un diluvio senza fine di colori.
Sicuramente anche qui la longa manus del produttore Spielberg avrà influito su qualche buonismo di troppo nella descrizione del limbo, su quel misticismo che si ammanta di new age formato tascabile (per come è riassunta), su quel finale che quasi provoca il coma diabetico nello spettatore meno smalizato. Ma si sa, il lieto fine è una delle regole auree non scritte dell'industria hollywoodiana.
Jackson da parte sua ritorna alle atmosfere delle sue Heavenlycreatures ma con maggiore dovizia di mezzi e conseguente moltiplicazione delle tracce narrative, Ma tutto questo non si riflette sulla freschezza della narrazione che a volte diventa quasi involuta perchè schiacciata dalla visione di quel limbo che evidentemente appassiona tanto il regista neozelandese.In questo film tanta carne viene messa al fuoco, forse troppa.
La famiglia di Susie dopo la sua tragica dipartita collassa e implode ,ognuno in preda ai propri fantasmi, c'è una giustizia che tarda ad arrivare e quando arriva il colpevole sarà colpito da quella divina e non da quella umana, c'è una giovinezza che viene brutalmente interrotta, il furto di una vita presumibilmente luminosa, c'è l'apparente provincia americana in realtà feconda di mostri.
Ci sono personaggi ai limiti della caricatura come quello di Susan Sarandon, nonna hippie che emette aforismi e perle di saggezza a getto continuo, altri appena abbozzati come quello del detective troppo garbato e ingessato per essere vero. Ci sono ingenuità, carinerie assortite ma ci sono anche grandi momenti di cinema.
E sono quelli che non si dimenticano e permettono di riscattare un film pieno di difetti come questo.
Perchè sono sicuro che tra qualche tempo avrò dimenticato il finale melassoso, la nonna Sarandon, il padre tormentato che pare un clichè ambulante, le letterine d'amore che arrivano da un mondo all'altro, così come le visioni dal limbo color dell'arcobaleno. Ma rimarranno ben impressi il serial killer di Stanley Tucci, straordinaria caratterizzazione di un uomo meno che mediocre, il suo antro in cui riesce ad attrarre Susie e i pochi minuti in cui l'orrore si fa impalpabile fino a deflagrare fuori campo, la fuga di Susie inconsapevole del suo status, il suo orrore quando finalmente prende consapevolezza del suo distacco definitivo dal mondo che fino a pochi attimi prima l'aveva protetta e coccolata, il rituale della pulizia certosina del serial killer per nascondere le tracce all'interno della stanza da bagno, il cuore che ti arriva in gola quando la sorella di Susie nella casa dell'assassino riesce a impossessarsi del suo diario e a fuggire appena in tempo dalle sue grinfie.
Veramente brani di grande cinema, di regia ai massimi livelli che valgono da soli il cosiddetto prezzo del biglietto.
E che permettono di innalzare il giudizio su un film che altrimenti sarebbe solo un bell'involucro con poco dentro, una cornice che varrebbe molto di più del quadro in essa contenuto.
Molti hanno detto che Peter Jackson è ormai legato alla terra di mezzo e ci ritorna con questo film; secondo me è tornato ancora più indietro nella sua filmografia,alle Heavenlycreatures già nominate.
Ma stavolta l'horror che veniva fuori tra le righe di quel film qui è solo un ricordo.
E' il risultato finale che sta un pò nel mezzo.
( VOTO : 6,5 / 10 )
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