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Entrando nel reparto di pediatria dell’ospedale di Galkayo, nella regione somala del Puntland, non si può non notare la grande foto che campeggia all’ingresso: ad accogliere pazienti e visitatori c’è la faccia sorridente di Andrea Ravizza, che ha dodici anni e vive a Stezzano, in provincia di Bergamo. Come ci è finita la sua foto in Africa? A Galkayo, Andrea è considerato un mecenate, un benefattore: gli sono enormemente riconoscenti perché è grazie alla sua generosità se tanti bambini come lui possono contare su cure mediche efficaci e su un ospedale confortevole.Tutto è cominciato nel 2006 quando il papà di Andrea, Vinicio, ha fatto un viaggio in Somalia. Al ritorno ha mostrato al suo bambino – che all’epoca di anni ne aveva appena sei – le fotografie scattate in quelle zone poverissime. «Cosa posso fare, papà, per aiutare i bambini che vivono lì?». Vinicio gli ha proposto di rinunciare al superfluo – per esempio alle figurine dei calciatori – e di destinare a quei piccoli i soldi risparmiati. Andrea lo ha preso sul serio e da allora mette nel salvadanaio le mance che riceve a Natale, per i compleanni e nelle occasioni speciali. «I parenti lo sanno – spiega Vinicio – e si dimostrano generosi. Così, in sei anni, Andrea ha messo da parte seimila euro che io ho cambiato in dollari e portato di persona a Galkayo, consegnandoli nelle mani di Mohamed Jama Salad, un neurochirurgo dell’ospedale che conosco bene». Il dottor Jama Salad ha trasformato quel piccolo tesoro in attrezzature salvavita e ha ristrutturato l’intera ala della pediatria: «Sono stati comperati letti nuovi, montati infissi di alluminio, vetri e porte che fino a quel momento erano solo un miraggio. Ora – spiega il signor Ravizza – i bambini del Puntland hanno un posto dignitoso dove curarsi». Ne è ben consapevole anche Ali Abdullahi Warsame, il ministro della Sanità della regione, che ha deciso di dimostrare ad Andrea la propria riconoscenza in modo tangibile: la scorsa settimana è venuto in Italia e ha organizzato una cerimonia nella scuola che frequenta e lo ha nominato «Ambasciatore della benevolenza». «Ho insegnato a mio figlio – conclude l’orgoglioso papà – che bisogna regalare con due mani e accettare con una». Lezione imparata alla perfezione!
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