Riuscire a dare un’origine certa a questo liquore è tutt’altro che semplice, infatti, le origini di questo liquore si perdono nella notte dei tempi (con)fondendo il mito con la realtà. Nella mitologia l’ambrosia (greco: ἀμβροσία) è a volte il cibo, a volte la bevanda degli dei. La parola deriva dal greco an- (“non”) e brotos (“mortale”) ovvero il cibo o la bevanda che solo gli immortali potevano consumare.
Strettamente correlato con l’ambrosia è il “nettare”. Nei poemi omerici il nettare è solitamente la bevanda e l’ambrosia il cibo degli dei; mentre in Alcmane nettare è il cibo, e in Saffo (frammento 45) e Anassandride ambrosia è la bevanda.
Teti unse l’infante Achille nell’ambrosia e lo immerse nel fuoco per renderlo immortale – una usanza tipica dei Fenici – ma Peleo, atterrito da quello spettacolo, la fermò.
Nell’Iliade, Apollo lavò il sangue rappreso dal cadavere di Sarpedonte e lo unse con l’ambrosia, preparandolo così al suo ritorno nella nativa Licia.
Lo studioso classicista Arthur Woollgar Verrall, tuttavia, negò l’evidenza che il termine greco ambrosios dovesse necessariamente significare immortale, e preferì tradurlo con il significato di “fragrante”, significato più appropriato. Se così fosse, questa parola deriverebbe dal termine semitico MBR (“ambra”, che quando viene bruciata produce una resina profumata) ed alla quale le popolazioni d’Oriente attribuivano poteri miracolosi.
In Europa, l’ambra color miele, era già un dono tombale nell’era del Neolitico ed era ancora indossata nel settimo secolo a.C. come talismano da sacerdoti della Frisia, sebbene Sant’Eligio metta in guardia, dicendo che “Nessuna donna dovrebbe avere la presunzione di far ciondolare ambra dal proprio collo”.
Wilhelm H. Roscher pensa che sia “nettare” che “ambrosia” identificassero tipi di miele, ed in questo caso il loro potere di conferire immortalità sarebbe da attribuire al supposto potere curativo e purificante del miele stesso, il quale è infatti asettico, ed anche perché l’idromele, miele fermentato, precedette il vino come enteogeno, ovvero sostanza psicoattiva usata in un contesto religioso-sciamanico, nel mondo dell’Egeo antico: la grande divinità venerata a Creta su alcuni resti è apparsa nella forma di un’ape: si comparino Merope e Melissa. Si veda anche Icore.
Una delle empietà di Tantalo, secondo il poeta Pindaro, è l’aver offerto ai propri ospiti l’ambrosia degli Immortali, un furto simile a quello commesso da Prometeo, Karl Kerenyi fa notare (in “Heroes of Greeks”). Circe accenna ad Odisseo che un branco di rondini portò l’ambrosia all’Olimpo.
Come conseguenza, la parola ambrosia (al caso neutro plurale nel greco antico), fu usata per chiamare certe festività in onore di Dioniso, probabilmente per la predominanza di banchetti in relazione a queste.
L’ambrosia è collegata all’amrita della cultura Hindu, ed è una bevanda che conferisce immortalità agli dei.
Molti studiosi moderni, tra cui Danny Staples, mettono in relazione l’ambrosia al fungo allucinogeno Amanita muscaria.
Come si evince da quanto appena detto attribuire una paternità a questa bevanda non è possibile ma si può certo dire che appartiene alla cultura ellenica e dato che la Sicilia vanta (tra le tante) anche una dominazione greca non poteva non assimilare e far propria questa bevanda liquorosa che forse non sarà quella originale, ma di sicuro da lei deriva.
Ingredienti:
3 gr. di coriandolo;
3 chiodi di garofano;
2 gocce di tintura di muschio;
1 gr. di anice stellato contuso;
1 gr. di semi d’angelica;
250 gr. di alcool a 70°;
400 gr. di vino bianco secco;
400 gr. di zucchero.
Procedimento:
Macinate in un mortaio le droghe, ponetele in un contenitore ermetico ed aggiungete l’alcool. Macerate per 10 giorni, agitando per due volte al giorno. Quindi aggiungete il vino bianco invecchiato e secco, richiudete bene e lasciate ancora in infusione per altri 10 giorni. Alla fine, aggiungete lo zucchero e le gocce di muschio, mescolate e chiudete di nuovo. Lasciate riposare altri 5 giorni, filtrate e ponete in bottiglie.