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Amelie: Occhi di un mare infinito

Da Andrea Venturotti

Buongiorno a tutti cari lettori.
E’ arrivato il nostro appuntamento settimanale con la mia rubrica
“5 words for one story”

Le parole di questa settimana sono:
“Occhi blu, Inverno, Pittore, Venezia, Cieco”

Eccovi la mia storia, o per meglio dire, la storia di Amelie.


Non credo di rendere l’idea. Avete in mente Parigi? Parigi parla da sola, per monumenti, storia e usi e costumi. Per questo sono diventata una guida turistica specializzata.
Mi presento: Sono Lucia. Una veneziana che dall’età di quindici anni sta tentando di perdere l’accento tipico della mia città. Ho la passione per le lingue, per il volontariato e per l’unica città che mi abbia mai rapito il cuore.
Sono una ragazza fortunata, se di ragazza, a quar….trentacinque anni si può parlare!
Fortunata, dicevo, perchè sono una delle poche persone al mondo e in particolare nell’Italia odierna, che è riuscita ad ottenere il lavoro dei suoi sogni. Parlo francese come se fossi nata 700km più a nord ovest rispetto alla mia reale residenza veneta.
La storia che voglio raccontarvi oggi è una di quelle che ti rimangono impresse nell’anima per tutta la vita.
Il mio lavoro consiste, da 13 anni a questa parte, nel portare a visitare la Belle Ville alle persone meno fortunate di noi.
Il lavoro mi da tantissima soddisfazione personale, ma, arrivata alla mia età, c’è un aneddoto in particolare che vi vorrei raccontare. La storia mi vede partire dalla mia Venezia per arrivare all’altrettanto mia Parigi.
Avevo il compito, quella volta, di accompagnare una ragazzina francese di diciassette anni in giro per la città per descrivergli minuziosamente ogni singolo monumento. La ragazza in questione mi faceva mille domande. Mi sentivo quasi in fuori luogo ad andare in giro con questa ragazzina mano nella mano mentre lei teneva a sua volta il suo fedele labrador di nome Charlie nell’altra.
Facemmo tre giorni in giro per i quartieri più famosi di Paris e la fortuna di quel periodo era che la neve faceva da padrona all’interno della città, visto che era inverno inoltrato. Le descrivetti ogni singolo aspetto del quartiere latino, di Notre Dame e ci misi non so quanto a spiegarle tutta la storia della Tour Eiffel. Non ci salimmo, giustamente, non se la sarebbe goduta,purtroppo.
Arrivammo alla fine dell’ultimo giorno nel quartiere di Montmartre, il quartiere degli artisti.
Sempre mano nella mano e con lei che guardava costantemente verso il cielo con un sorriso che non credo di aver mai visto in bocca a nessuno, gli dissi che attorno avevamo una folla di persone che stavano guardando degli artisti locali.
Vi erano, da sinistra a destra,  il classico mimo vestito in bianco e nero, uno che faceva la statua d’oro, che per la cronaca sono 13 anni che è li fermo senza accennare il minimo movimento, un musicista col violino che avevo già incontrato nel tunnel della metro alla fermata dell’Hotel de Ville, una crew di ragazzi che facevano delle coreografie all’unisono indimenticabili e, alla fine, in un angolo in ombra, un pittore con gli occhiali da sole, un bastone ed una tela bianca di fronte che non avevo mai incontrato prima.
Descrivendogli quell’ultimo artista, lei, mi chiese se c’era il tempo di farle fare un ritratto come ricordo di quell’esperienza da riportare a casa. Annuii senza pensare al reale tempo restante. Alla fine, stava vivendo l’esperienza più bella di tutta la sua vita, come era capitato a me anni prima.
Mi avvicinai all’artista, mi presentai e a sua volta si presentò anche Amelie.
L’artista sorrise e togliendosi gli occhiali con le lenti a specchio disse: “Bonjour, je suis Richard et je suis un artiste aveugle“.
Non ci credetti per quel millesimo di secondo in cui non lo guardai realmente negli occhi.
Le sue pupille avevano il tipico aspetto degli occhi delle persone non vedenti. Non vi era un’iride definita ma solo un mare di un blu/celeste vuoto. 
Rimasi allibita, nonostante avessi a che fare spesso con persone con questo problema, non riuscivo a credere come una persona non vedente potesse fare un ritratto ad un’altra persona.
L’uomo, con una grande umiltà d’animo ci rassicurò che nel caso il ritratto non fosse venuto come la cliente sperava, questa non avrebbe dovuto pagarlo.
In ogni caso Amelie si sedette di fronte a lui con il mio aiuto, il sorriso, ovviamente, stampato sulle labrra.
L’artista chiese gentilmente se era possibile toccare la ragazza per capire come ritrarla.
Amelie acconsentì.
In quel momento io ero a circa un metro da loro e li vidi mentre lui tentava di raggiungere la mano di lei. Ci misero qualche secondo a trovarsi e il mio cuore si strinse tra un magone e un’ammirazione infinita.
L’artista arrivò alla mano, risalì fino alle spalle e passando per il collo si concentrò toccando il viso della ragazza per un minuto buono. Le chiese la tonalità della pelle ed eventuali segni particolari.
Cominciò a lavorare, passarono cinque, dieci, quindici minuti…
Intanto io avvisavo la famiglia della ragazza che saremmo rientrati più tardi rispetto a quanto concordato e che era tutto apposto.
Amelie stava seduta immobile sullo sgabello, dondolava soltanto le gambe magrissime e si bagnava ogni tanto le labbra per non farsele seccare dal vento gelido.
Il ritratto prendeva forma e i miei occhi si sgranavano sempre di più. Non potevo crederci! Amelie prendeva vita sulla tela, i pennelli la carezzavano e pareva che non la toccassessero nemmeno, i movimenti agili e sicuri dell’artista sembravano degni di un trapezista del Cirque du Soleil. Ogni tanto interrompeva la creazione per tornare con la mano a toccare il viso della ragazza per controllare la profondità del naso o la larghezza della bocca. Passò un’ora, e il ritratto era praticamente finito. Avrei voluto farvelo vedere, sembrava una fotografia appena fatta, gli zigomi perfetti, le lentiggini avevano del reale, la bocca con le crepe sulle labbra esattamente come le aveva al momento Amelie. Al ritratto mancavano gli occhi. Ero sicura che da li a poco avrei fatto i complimenti con il massimo della felicità all’autore.
La domanda finale, quella che ha fatto entrare di diritto questa storia nella mia vita, è stata una domanda tanto facile quanto difficile da rispondere per due persone così.

L’artista chiese: “Di che colore hai gli occhi Amelie?”
Lei rispose: “Come i tuoi”

Un silenzio interruppe tutta l’atmosfera di quel momento.
Richard cedette una lacrima, la bocca si strinse e i denti digrignarono per non far uscire alcun lamento di dolore.
Prese coraggio, prese della pittura blu e celeste, (da notare come lui sapesse esattamente dove erano i colori, quasi come se negli anni avesse preso dei punti di riferimento talmente precisi da non dare nemmeno l’immagine di una persona cieca), e tornò sulla tela per dipingere quegli occhi. Probabilmente fu la sfida più difficile della sua vita, tra la mortificazione di non essersi accorto minimamente che la sua cliente non vedeva e la voglia di far bene quel particolare che in qualche modo era stato la sua croce e la sua fortuna.
Il ritratto lo terminò in un’ora e mezzo e fu il ritratto più bello di tutti gli artisti di strada che avevo visto in tanti anni di carriera.
Gli chiesi il conto, ma lui non volle sapere di ricevere mezzo franco per quel ritratto. Le sue mani tremarono e ci salutò con le labbra tremolanti, tipiche di una persona che da li a poco sarebbe scoppiata a piangere. Amelie prese i soldi dalla tasca e gli lasciò cinquantamila franchi. Non per la sua opera, ma per il suo essere uomo.
L’uomo rimase immobile fino a che non aprì le braccia e abbracciò forte Amelie. Un’altra lacrima scese inesorabilmente sulle guance di tutti e tre.
Tornai a casa quella sera conscia che quello era il lavoro della mia vita.
Non ho più trovato quel pittore in giro per Parigi in tutti questi anni, chissà dove è finito. Mi piacerebbe tanto rincontrarlo, in questa vita o nell’altra.

Amelie: Occhi di un mare infinito

Di persone speciali ne è pieno il mondo. Tu stesso sei una persona speciale. Non dovete e non dobbiamo mai dubitare delle abilità intrinseche nel nostro DNA. Dentro di noi vi è uno scrittore, un fotografo, un artista o semplicemente un vero amico. Basta cercarlo. Cercare noi stessi, DENTRO, noi stessi.
Lucky


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