I cannot endure this agonizing pain any longer. It is all over my body. Neither can I face the impending blindness. I pray the Lord my soul to take. Amen tweet
Questo c’era scritto sul biglietto lasciato da Clara Blandick, l’attrice che impersonò zia Emma ne “Il Mago di Oz” di Victor Fleming (1939). A partire dagli anni Cinquanta, Blandick si ammalò: artrite, progressiva perdita della vista. Nel ’62, di ritorno dalla Messa (era la Domenica delle Palme), si suicidò stordendosi coi barbiturici e soffocandosi con un sacchetto di plastica, dopo essersi vestita di tutto punto ed essersi messa una coperta d’oro sulle spalle, circondata da cose che le ricordavano la sua carriera. Gli american (sic) ci fanno sentire questa frase all’inizio di “Decedents”, pronunciata dalla voce meccanica di un risponditore automatico. Omettono la prima cosa che scrisse zia Emma, cioè “I am now about to make the great adventure”, forse perché per loro “dopo” non c’è proprio un cazzo.
Gli american sono Jimmy e Mike, dalla Virginia. Leggo che vivono a qualche ora di distanza l’uno dall’altro e che si trovano giusto per registrare la loro musica, un po’ come fanno i Darkthrone. Non ho altri fatti in mano. Coping With Loss, in compenso, fornisce subito molti indizi esteriori su ciò che andremo a sentire. Anzitutto esce per Sentient Ruin, che in catalogo ha Sutekh Hexen, Buioingola e Abstracter. L’edizione è in cassetta (oggi un supporto con un significato in primis simbolico) e l’artwork – curato proprio da Kevin Gan Yuen dei Sutekh Hexen – è in bianco e nero secco, come quello dei fumetti, e sembra fare riferimento alla Mater Dolorosa (Maria che affronta la perdita di Gesù), dato che la statua in esso raffigurata ha in mano una corona di spine. Il demo degli american mostrava invece la foto di un Nuvola Rossa senza pupille come i ragazzi spenti dalla droga di una vecchia “Pubblicità Progresso”, con dietro una bandiera confederata (siamo in Virginia, no?): il significato di quella “a” minuscola sembra divenire più chiaro e conferire una nuova sfumatura macabra (e politica?) al lavoro della band. Già così, insomma, ci immaginiamo un contesto do it yourself e prossimo a un’impostazione punk/hardcore, ma quello che si va a sentire poi è un po’ più composito, oltre che più a fuoco, apparentemente, rispetto al demo e allo split precedenti: il grido lacerante è in effetti hc, la batteria sparata e i riff di chitarra sono black metal (di grana statunitense, piuttosto che svedese o norvegese, se posso cavarmela così), fatti salvi opportuni rallentamenti che sanno di sludge. La struttura è ridotta all’osso: non si parla certo di costruzioni complesse, caratteristica che facilita lo slittamento verso soluzioni dark ambient e noise e che spinge a scartabellare nel catalogo Crucial Blast (o in quello Heart & Crossbone) alla ricerca di qualche altro gruppo bastardo che possa somigliare agli american. È su questo incrocio di generi, comunque, che forse i ragazzi dovrebbero concentrarsi, lasciando perdere escursioni troppo lunghe in territori atmosferici (“Pulse Beating Slowly” è un po’ noiosa) e integrando soluzioni di questo tipo nei brani più aggressivi (eccellenti i loop dentro “Retinere”). Già così, in ogni caso, siamo messi abbastanza bene.
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