Nonostante Murder house mi abbia fatto abbastanza schifo - più che altro diciamo che l'ho trovata una bambocciata clamorosa, solo con alcuni momenti splatter sfruttati malissimo - ho deciso di proseguire con la serie American Horror Story, complice anche il fatto che è ambientata in un manicomio e che quindi si collega molto vagamente al lavoro che sto facendo da ormai un annetto - se vi siete persi alcuni passaggi, mentre sto scrivendo sto lavorando come animatore per disabili. A proseguire in quella che, da quel che ho avuto modo di vedere, mi è sembrata senza troppi giri di parole una buddhanata per bimbiminkia che ancora non si sono resi conto che gli emo sono scomparsi ormai da qualche annetto, sono stati anche i pareri entusiastici di molti fan che, pur ammettendo come la prima stagione fosse gestita davvero male, assicuravano mille e più meraviglie in questa seconda. Quando si parla di capolavoro poi ho sempre, a parte rari casi, la solita e scomoda posizione di quello che dice "Per carità, tutto molto bello, però non è che mi sia sbellicato le mani dagli applausi", e qualcosa mi suggeriva che sarebbe successo anche in questo caso. Pregiudizi? Forse. Anche se non è che questa serie abbia fatto molto per non farmi partire prevenuto, eppure durante la visione della prima puntata mi ero ripromesso più volte di rimanere il più obiettivo possibile.
Le vite di un gruppo di disperati nel Briarcliff Asylum, finiti dentro per motivi assurdi e diversi, si incrociano in un crescendo di perversione e tranelli.
Una cosa va detta perché è quella che si nota subito: a livello di regia si compiono dei passi da gigante. Nulla di eccezionale o che faccia gridare al miracolo - non siamo ai vertici di Hannibal, per dire - però se non altro ci evitiamo degli scavallamenti di campo ogni tre per due o una messa in scena che farebbe invidia alla puntata media di Un posto al sole. Che vabbeh, da Un posto al sole è uscito un bravo regista come Stefano Sollima, però questi sono dettagli. Tutto si mantiene in quella che è una dignitosa media per un prodotto televisivo, in un periodo poi dove le serie tv stanno superando il cinema, però è quella formale compostezza che finisce grossomodo per accontentare tutti. Ma questo sembra essere anche uno dei limiti maggiori della serie, il cui obiettivo principe sembra essere quello di accaparrarsi i favori di un pubblico il più vasto possibile che quello di cercare una strada propria e ben definita, anche se da certe scelte narrative sembrerebbe tutto il contrario. E si arriva quindi alla trama, a tutti i twist e i sub-plot (maronn', sembra che sto a citare roba porno...) che Ryan Murphy e il suo compagno di merende Brad Falchuck usano a sproposito e a casaccio per gestire quella che poteva essere una trama semplice, lineare, a suo modo efficace in virtù della sua basilarità e che alla fine dimostra d'essere un ricettacolo di idee varie, prese anche all'infuori di quello che dovrebbe essere il contesto horror d'appartenenza - degli alieni se ne sentiva veramente il bisogno? La cosa assurda è che sembra partire bene, anche se con un prologo che è un'offesa al buon gusto (no, non solo per il cantante dei Maroon 5 che recita) stilistico, e presenta pure dei personaggi ben studiati nel loro dettaglio psicologico, facendoti essere almeno speranzoso un minimo che tutto possa andare su binari sicuri, ma più si va avanti e più castronerie, gap e sospensione dell'incredulità tirata all'estremo (aridaje col porno) la fanno da padroni. Come nella prima stagione, viene messa al fuoco troppa roba, troppe sottotrame e troppi elementi esterni che allungano un discorso in maniera inutile, rifilandoci cose che prese singolarmente possono essere anche molto belle, ma che nel contesto generale si disperdono come gocce in una pozzanghera, insieme ad altre cose messe lì tanto per e poi non più sviluppate, oltre che a personaggi principali che muoiono senza aver chiuso un qualsivoglia ciclo narrativo, un errore che fra l'altro non veniva fatto manco nella peggio stagione di Lost. Il materiale che scotta c'è sempre, qui abbiamo a che fare con rimorsi, dubbi di coscienza, gente che viene deturpata fisicamente, il passato che bussa alla porta e pure sterilizzazioni effettuati senza il consenso, ma sembra assurdo che i due autori facciano proprio di tutto per sminchiare il più possibile anche le cose che potrebbero infastidire anche il più duro degli uomini della strada. Però si giunge a due episodi finali che, è proprio il caso di dirlo, sono di una bellezza struggente, tanto che per un attimo ho pensato di aver sbagliato e di essermi messo a guardare un'altra serie. Lì capisci quelle che volevano essere le vere intenzioni di Asylum, come quel mondo assurdo che gli autori hanno ricreato non fosse altro che un (maldestro) tentativo di mettere in scena i dubbi e le frustrazioni umani davanti alle incognite della vita e all'impossibilitò di avere un controllo della propria esistenza, dando vero senso di esistere grazie alle scelte intraprese dai protagonisti una volta all'esterno del manicomio che dà titolo al tutto. Due episodi che ti fanno essere quasi contento di esserti visto tutte quelle puntate, che quasi riescono a farti dimenticare molti passaggi nonsense e delle cadute di stile innegabili. Due episodi che portano a un finale che si ricollega ai vari prologhi visti precedentemente e che lo fanno con tutte le cose a cui i due autori ci hanno abituati: colpi di scena senza capo né coda e una semplificazione della morbosità irritante e davvero fuori luogo, che manda all'aria il mezzo miracolo che erano riusciti a fare in extremis. E quindi Asylum risulta essere come la citazione fatta nell'ultima scena: qualcosa di profondo, ma che da sola non basta a portare avanti una storia che sembra avere l'unica ambizione di complicarsi da sola e in maniera abbastanza inutile.
Spero di non essere linciato da tutti i fan di questa serie. Se è davvero un capolavoro come molti dicono, è evidente che mi sono sfuggite molte cose.Voto: ★★ ½