American sniper

Creato il 12 gennaio 2015 da Jeanjacques

Per quanto Clint Eastwood sia il mio idolo, l'uomo che avrei sempre sognato di essere (quando invece mi ritrovo i tic - ma solo quelli - di Woody Allen), non ho mai condiviso molto quella che può essere una sua certa idea politica. Il sapere quindi che era alle prese col fare un film, tanto per cambiare biografico, sul più letale cecchino dell'esercito americano, ho iniziato a tremare. Il suo essere repubblicano l'avrebbe mai avuta vinta? Poi però mi è venuto da pensare a due professori che avevo alle superiori. Il primo, che io adoravo, aveva delle idee politiche estremamente diverse delle mie e aveva finito per candidarsi proprio per uno di quei partiti che mai e poi mai avrei appoggiato, anche se avessi avuto l'età per votare. Un giorno lo vidi per strada che faceva campagna elettorale e sono andato a salutarlo, per sentirmi dire però che non voleva vedere i suoi studenti 'davanti a una sede politica', cosa che ha fatto crescere immensamente la mia stima nei suoi confronti. L'altro professore invece aveva più o meno le mie stesse ideologie, solo che approfittava di ogni momento per fare propaganda politica nelle ore di scuola e aveva dato un'insufficienza apparentemente immotivata a uno studente che, politicamente parlando, aveva da spartire più con l'altro esempio. Una piccola esperienza di vissuto quotidiano che mi ha fatto capire che l'intelligenza, molto spesso, va al di là del credo politico di ognuno di noi, e che in molte cose non c'è destra o sinistra che tenga.

Il film parla della storia vera di Chris Kyle (1974 - 2013), giovane arruolatosi nei Navy Seals e divenuto il miglior cecchino della storia americana, con centosessanta vittime confermate - tra i quali figurano anche donne e bambini. Ma i suoi pensieri, più che alle sue vittime, andarono ai compagni che non era riuscito a salvare, cosa che gli causò un disturbo da stress post-traumatico...

Inizialmente il film doveva essere diretto da Steven Spielberg, mentre Bradley Cooper, che si era innamorato dell'autobiografia di Chris Kyle, doveva essere solo il produttore. Poi le cose sono deragliate e il figone esploso con Una notte da leoni (che per questa parte è ingrassato di venti chili ed ha preso lezioni di dizione per imparare l'accento texano, cosa del tutto negata dal doppiaggio) si è visto dirigere dal texano dagli occhi di ghiaccio, l'uomo più uomo che esista, l'individuo che mangia bossoli e caga fucili... insomma, Clint Eastwood. E qui si ritorna all'annosa questione del primo paragrafo, quella che vede il Nostro alle prese con una storia che, in base a quella che è la sua ideologia politica, poteva trasformarsi in una schifezza assurda - o in una paraculata inconsistente, perché la retorica è dannosa in ogni caso. Perché io non condanno il patriottismo, ma un certo suo surrogato, tipico di una certa visione americana, non lo digerisco. Il rischio con un soggetto simile, che vede un americano più che medio arruolarsi volontario per quello che è il 'buco di culo dell'Inferno' per amore del proprio paese, il più bello che esista... beh, direi che questa è una lista più che esauriente. Invece il buon Clint dimostra di essere una persona intelligente per riuscire a trattare questioni e cose simili in maniera del tutto neutrale, concedendosi qualche sviolinata in un paio di punti, ma non risparmiandosi neppure un paio di stoccate quando serve. Kyle non è visto come un eroe assoluto, il film mostra che alla fine è un sempliciotto, una persona non cattiva, tutt'altro, ma nemmeno chissà quale grande intellettuale. Non tutti i Navy Seals sono degli eroi, alcuni se ne escono con delle battute che ne dimostrano la stupidità ["Non toccarmi", dirà al commilitone esaltato per la sua prima vittima] mentre altri sono dei semplici camerati. Ma alla fine quello è il loro lavoro. Loro non devono pensare, devono solo agire per cercare di fare quello che dicono loro sia meglio. Avrei preferito che questo punto fosse maggiormente approfondito, che si facesse notare maggiormente come la guerra non chieda di pensare troppo [mi viene in mente la battuta più bella de Il labirinto del fauno: "Perché eseguire gli ordini senza pensare è tipico degli uomini come lei"], ma Eastwood non è interessato tanto a quello, a criticare l'operato americano, ma a farne un ritratto impietoso delle sue vittime. La guerra non è per nulla una cosa bella, un evento che ti costringe a uccidere un bambino o una donna non lo può essere a priori, e su questo non ci piove. L'occhio della cinepresa si concentra maggiormente sul concetto di vittime, mostrando come la cosa possa essere davvero stratificata. Alla fine lo siamo tutti. Lo è il bambino ucciso, lo è il soldato ferito a morte e, non ultimo, lo è Kyle, acclamato come un eroe, ma che una volta tornato a casa non troverà più quell'equilibrio, quella parvenza di 'normalità' in grado di fargli condurre una vita serena. Ormai la guerra è la sua ragione di vita, la guerra lo ha risucchiato e lo ha fatto diventare, a suo modo, una vittima. Clint non esalta troppo il corpo dei Navy Seals, ma mostra qual è il duro lascito di quella professione. Purtroppo però, dopo un'ottima e intrigante prima parte, nonostante queste prospettive il film inizia a caracollare dopo la prima ora, apparentemente indeciso se mostrare il campo di battaglia (le sequenze belliche a lungo andare mi sono sembrate un poco gratuite) o l'aspetto del dolore casalingo di Chris, insieme a un finale decisamente spiazzante anche per chi conosce come sono andati i fatti e che conferma nuovamente la tematica principale, ma che appare fin troppo distaccato e, per certi versi, inefficace. Tutto questo non basta a rendere il film brutto o non riuscito, ma è un qualcosa che gli impedisce di compiere quel balzo che, con una storia e delle tematiche simili, avrebbe potuto fare senza problemi.

C'è tanta americanità in questa pellicola, ma c'è anche altrettanta umanità. Umanità semplice e non condivisibile, certo, ma tale e degna di esistere.

Voto: 


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