Giunto alla veneranda età di 84 anni, con American Sniper Clint Eastwood confeziona un grande film di guerra, lucido, asciutto, preciso.
American Sniper di Clint Eastwood è innanzitutto un grande film di guerra, sulla guerra, e solo in ultima analisi, volendo, contro la guerra. E questa è già una bella medaglia al valore, poiché il war movie ambientato durante la guerra in Iraq e la caccia al terrorismo in Pakistan negli ultimi anni ha visto due pesi massimi alzare moltissimo l’asticella: The Hurt Locker (2009) e Zero Dark Thirty (2012), entrambi diretti da Kathryn Bigelow. Il primo ha vinto sei premi Oscar, tra cui miglior regia e miglior film; il secondo prende le mosse dal saggio No Easy Day di Mark Owen, uno dei Navy SEAL che ha partecipato al raid di Abbottabad che portò all’uccisione di Osama Bin Laden il 2 maggio 2011. Due grandi film, dunque.
Dalla sua Clint Eastwood ha all’attivo un importante dittico datato 2006 sulla Seconda Guerra Mondiale, o meglio sulla battaglia di Iwo Jima tra Stati Uniti e Giappone. Flags of Our Fathers e Lettere da Iwo Jima raccontano la guerra prima attraverso gli occhi degli Americani, poi, scavalcata la barricata, attraverso quelli dei Giapponesi.
Giunto alla veneranda età di 84 anni, Clint Eastwood conosce quindi bene sia i film della Bigelow sia come si fa un ottimo war movie. È ancora lucido, sa cosa vuole e sa come lo vuole.
Per American Sniper anche Eastwood parte da uno scritto, l’autobiografia di Chris Kyle, leggendario cecchino anch’egli dei Navy SEAL passato alla storia per aver ucciso “a distanza” circa 160 uomini in Iraq. Eastwood quindi non cambia fronte né campo di battaglia, rimane sul terreno più scottante della recente politica estera statunitense. Ma cambia passo.
Ciò che rende grande e potente American Sniper è la sua asciuttezza narrativa e spirituale. American Sniper è un film secco ma non arido, fulgido esempio di cinema americano depurato d’ogni americanità. Come solo Clint Eastwood sa e poteva fare. Non c’è quel tronfio gusto patriottico tipico dell’indole statunitense. Quel fervore da patrioti, che era sacrosanto mostrare nel duo di film sulla battaglia di Iwo Jima, qui è del tutto assente. Così come non c’è quella mania di grandezza che inzuppava l’impresa capitanata dall’agente della CIA Maya Lambert (Jessica Chastain) in Zero Dark Thirty. Film, quest’ultimo, che aveva il passo del thriller, della caccia all’uomo che volontariamente vuole condurci alla palpitazione cardiaca. A sua volta, The Hurt Locker, fortemente spettacolare e pieno di esplosioni, ralenti e anche un incosciente ed esibito gusto eroico, ci raccontava la storia di un’altra figura leggendaria: un disarmatore che ha disinnescato oltre 800 bombe. Zoomava poi su come l’Iraq fosse il Vietnam di oggi, di come la mente arrivi totalmente a bacarsi fino ad impedire ai reduci di tornare a vivere serenamente a casa e a reintegrarsi nella società civile.
Privo di ogni sentimentalismo o pathos inculcato a forza, messaggio morale o analisi post-sociologica sul male psichico e non solo fisico generato da ogni guerra, con American Sniper il buon vecchio Clint spara un colpo preciso, da militare scelto, da veterano che sa centrare una preda a quasi due chilometri di distanza, proprio come fa Chris Kyle nel film. In American Sniper c’è tanta azione, più di quella che ci si aspetti, ma allo stesso tempo c’è tanta sobrietà di toni e inquadrature. Sobrietà che qui significa oculatezza, rigore e non ostentata maestria registica. La regia è partecipe, ma l’occhio di Clint rimane allo stesso tempo distante, militare, quasi invisibile, lasciando che l’empatia contagi lo spettatore senza dover essere continuamente sospinta. Clint Eastwood voleva raccontarci una storia, una storia personale, e ha scelto di raccontarcela come con la penna di un biografo che camuffa e nasconde il sentimento e l’emozione dietro una scrittura analitica, quasi cronachistica. E il quadro che emerge è di un’omogeneità e una coerenza lancinanti, una compattezza pressoché inattaccabile, come un fortino, come un tetto dal quale colpire senza farsi mai vedere.
American Sniper è quindi una vera e propria sorpresa, anche per il fatto di ritrovare un Clint Eastwood in forma smagliante dopo i due (mezzi) passi falsi di J.Edgar e Hereafter. Un Eastwood coraggioso, che ha la lucida sfrontatezza di mostrarci senza tagli l’uccisione di un bambino centrato da un colpo di mitraglia, e capace di un montaggio che profuma di puro Cinema nel suo essere allo stesso tempo alternato e parallelo (la sequenza in cui la moglie di Kyle sente al telefono un drammatico attacco armato dei talebani).
A dare anima e corpo al tiratore scelto Kyle è uno strepitoso Bradley Cooper, pompato e intozzito nel fisico come una biga da wrestling, che ci regala una performance priva di sbavature o incertezze, una prova che vale assolutamente un Oscar.
Ma a ben vedere il vero cecchino di American Sniper è Clint Eastwood, che fissa il centro del mirino e spara senza esitazione o tremolii, con quella nitidezza di sguardo millantata alla visita oculistica di Space Cowboys che qui si fa concreta e reale.
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