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Amianto, la battaglia di B.F.

Creato il 10 maggio 2013 da Tipitosti @cinziaficco1

La lettera di B.F. mi arriva a pochi giorni dalla morte di un suo amico, Pierangelo Casa, l’ennesima vittima del mesotelioma pleurico, dovuto ad un’esposizione massiccia all’amianto.

Ve la propongo, proteggendo l’identità dell’autore, una persona tanto coraggiosa, che ancora combatte per avere giustizia per sè e gli altri.

“Mi chiamo B. F. Sono un appuntato scelto, in congedo, della Guardia di Finanza di Trieste. Mi sono arruolato nel 1984, sono diplomato e figlio di un generale in pensione dell’esercito. Mia madre insegnava nelle Scuole Medie e i miei fratelli insegnano, tuttora, nelle Scuole secondarie di secondo grado.

Amianto, la battaglia di B.F.
Da adolescente ero una giovane promessa del gruppo sportivo di judo delle Fiamme Oro (Polizia di Stato) e, successivamente, ho militato nella sezione pesca agonistica dell’Associazione Nazionale Finanzieri d’Italia (ANFI) con partecipazioni a gare di livello nazionale. Sono, da sempre, un appassionato artista, non commerciale, di arti visive e letterarie e un instancabile promotore culturale a 360°. Quando ero in servizio, a Trieste, ho anche esposto le mie opere (come volontario), in uno stand, per la Guardia di Finanza in occasione della celebre regata velica “Barcolana”. Ho sempre messo, quando libero dal servizio, a disposizione del volontariato, i miei talenti per la Cultura con progetti sociali e nelle Scuole.

Negli ultimi miei vent’anni di servizio in Guardia di Finanza ho lavorato per gli uffici gestionali della mia Amministrazione (a livello regionale) occupandomi di pratiche amministrative, contabili, disciplinari (riservate e non) del personale, riportando la valutazione caratteristica di “eccellente” per diciassette. Sono stato elogiato per iscritto e decorato per l’anzianità di servizio. Nel mio foglio matricolare non compaiono punizioni.

Quella che sto per raccontarvi è una storia che ha dell’incredibile
Tutto iniziò nel 1985 quando, al termine del corso di formazione, giovane e speranzoso, fui inviato a Trieste alla volta della caserma Fratelli Bandiera, sul molo omonimo, in piena area portuale, dove fui alloggiato e “preso in carico” per il servizio che avrei dovuto svolgere.
Inizialmente, per me che ero appassionato di mare, quella singolare caserma, accanto al vecchio faro la Lanterna e vicino a quella dei finanzieri di mare, era sembrata inizialmente una manna dal cielo.

Il Molo F.lli Bandiera, infatti, era certamente un luogo affascinante e pittoresco, in mezzo al mare, con i gabbiani e la bora, proprio al centro del golfo di Trieste.

La caserma, inoltre, faceva parte di un comprensorio dotato di mensa, infermeria e spaccio bar ed era situata accanto al Cantiere Navale Cartubi, che si occupava di tubistica e rimessaggi navali.  Un particolare apparentemente insignificante, ma in realtà di fondamentale importanza. Lo avrei compreso molti anni più tardi quando avrei scoperto di esser stato esposto a quell’invisibile e spietato minerale killer dal nome amianto, che il cantiere, ahimè, utilizzava.

Alla Cartubi, infatti, si smantellavano e demolivano vecchie imbarcazioni o se ne effettuavano manutenzioni, producendo continue polveri e nebulizzazioni all’aperto, sotto le finestre degli uffici e pochi metri dalle camerate, che, talvolta, si depositavano su vetri e carrozzerie delle nostre auto in sosta, rovinandoli irreparabilmente. Ma tutto sommato, non essendo mai stati informati da alcuno del rischio, tolleravamo quel disagio giornaliero, e poi non vi era, quella volta, possibilità di scelta e da militare ben si sa: “o ti mangi questa minestra oppure…”.

Amianto, la battaglia di B.F.
In quel periodo, comunque, fui destinato a lavorare nel vicino Porto Nuovo a pochi metri in linea d’aria dalla caserma, dove comunque mantenevo il mio alloggio, presso i varchi doganali, nei magazzini, sulle banchine, dove i finanzieri. per eseguire i previsti controlli doganali e anticontrabbando mettevano, praticamente, naso e mani dappertutto, senza alcun dispositivo di protezione individuale. E lì la situazione “amianto” non era certo migliore, ma nulla ci veniva detto a riguardo.

E’ più che noto, infatti, che in quegli anni siano transitate per il Porto di Trieste centinaia di migliaia di tonnellate di amianto, come anche ben si conoscono i numerosi casi di ammalati con decessi avvenuti nel Porto e nelle sue zone limitrofe.
Successivamente tornai al Molo per lavorare in mensa, negli uffici e come autista, nelle già dette condizioni ambientali.
Dopo alcuni anni fui trasferito negli uffici della caserma Campo Marzio (ex Comando 19^ Legione G. di F., odierno Comando Regionale FVG in via Fiamme Gialle 6), ex sede dei laboratori/uffici tecnici e amministrativi dell’industria pesante navalmeccanica Fabbrica Macchine S. Andrea, fino al 2008 (anno del mio congedo per motivi di salute) e anche lì, qualche anno prima di andar via, l’amara scoperta di aver convissuto, fino all’ultimo, con il minerale killer, presente dappertutto nella vecchia struttura.

Fu in quella caserma che, dopo qualche tempo dal mio arrivo, incominciai ad accusare un po’ di problemi di salute (asma bronchiale con apnee notturne ed allergie varie, rinite, pansinusite con polipose massive, adenoma alla tiroide, malattie allo stomaco, fenomeni adattativi disfunzionali e, di seguito, altre) senza rendermi conto delle possibili cause, attribuendo il tutto ad un sospetto abbassamento delle difese immunitarie. Non molto dopo il congedo, essendo peggiorata la situazione di salute, decisi di approfondire e mi iscrissi al Registro degli Esposti all’Amianto del Friuli Venezia Giulia ed intrapresi una causa presso la Corte dei Conti del Friuli Venezia Giulia per il riconoscimento dei benefici previdenziali per esposizione ultradecennale all’amianto per ragioni professionali.

Da quanto ne so fu la prima causa nota intrapresa in Italia, per quel motivo, da un finanziere. Qualche tempo dopo subii il mio primo intervento chirurgico per le polipose naso-sinusali massive. Oggi sono in attesa del secondo. Avviai nel frattempo, con un collega in congedo, anche lui esposto all’amianto, una raccolta di documenti e testimonianze significative da far valere in sede giudiziaria.

Da questo importante lavoro emerse che dalla caserma “Campo Marzio” (come anticipato, già laboratorio chimico e meccanico con uffici tecnici e direzionali, degli anni ‘50, dell’ex industria pesante navalmeccanica Fabbrica Macchine S. Andrea) furono estratti, con noi all’interno – senza interrompere le attività di caserma – tonnellate e tonnellate di materiali contenenti amianto, compatto e friabile, con bonifiche inadeguate.

La scoperta più sconcertante fu quella di apprendere che, nella tale caserma, l’amianto oltre ad essere presente sulle tubature degli impianti e in tutti i livelli dell’edificio, contaminava anche la vecchia centrale di trattamento dell’aria (sul piano di copertura del palazzo) e che aveva diffuso (almeno fino al 2001/2002 anno di conclusione della bonifica dell’impianto), per effetto del cattivo aspiramento delle macchine e delle loro vibrazioni, le invisibili fibre di asbesto all’interno della caserma.

Amianto, la battaglia di B.F.

Nella causa intrapresa dinanzi la Corte dei Conti del Friuli Venezia Giulia la Consulenza Tecnica d’ufficio disposta dal Giudice riportò erroneamente, con ovvie conseguenze di valutazione, la distanza dei Cantieri Navali Cartubi dalla caserma F.lli Bandiera a 180 metri, quando in realtà i due enti erano adiacenti, come ben specificato negli atti. Così il valore di emissione delle fibre di amianto della centrale di trattamento dell’aria, nella caserma Campo Marzio, fu considerato dalla CTU a macchine spente (già predisposte per la bonifica), in misura esponenzialmente inferiore al dato reale. Il Giudice amministrativo, come se non bastasse, rigettò le nostre rimostranze, ritenendole ininfluenti sulla base di un suo errore di computo.

Dalla sentenza emerse, inoltre, che non era calcolabile, ai fini dell’esposizione all’amianto, il periodo trascorso in caserma per obbligo di accasermamento, poiché considerato “extra-lavorativo”. Un’evidente contraddizione, in quanto i militari, al tempo e credo ancora oggi, per i primi anni di servizio, erano obbligati ad alloggiare in caserma, come pure si apprese dal giudizio che i finanzieri non rientravano nelle tutele previste, per l’amianto, dagli atti di indirizzo del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale del 2001 sul Porto di Trieste.

Ciò nonostante il Giudice mi dichiarò esposto (e per analogia anche i miei colleghi), continuativamente, sulle otto ore lavorative dal 1985 al 2008 alla soglia di 0,013 ff/c3 di per sé gravissima secondo la circolare concernente le “esposizioni sporadiche”, emessa nel 2011 dal Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali.
Ah ho dimenticato di dire che, già da tempo, i colleghi che avevano fatto servizio in quelle caserme o al Porto, contraevano con una certa frequenza patologie, anche letali, di sospetta natura asbesto-correlata. Casi sempre più in aumento negli ultimi anni.
Una brutta storia, insomma, che assieme a colleghi di buona volontà, associazioni di difesa degli esposti all’amianto (ONA, AIEA, AEA, AFEA) e legali, abbiamo cercato di portare all’attenzione delle Autorità competenti (Presidente della Repubblica, Parlamento, Ministro dell’ambiente, Sindaco e Assessore all’Ambiente di Trieste, Sedi giudiziarie competenti, Media ecc.).

Amianto, la battaglia di B.F.
Il risultato, purtroppo, ancora oggi non è stato granché soddisfacente. Al contrario, non è mancato qualche schizzo di fango qua e là e il paradossale sospetto di essere stati messi noi stessi sotto controllo (senza sapere da chi e per quale motivo. Unica certezza, l’indecoroso muro di negazionismo degli ex datori di lavoro, incredibilmente, anche a fronte di evidenze documentali innegabili. E, nonostante, la gravità dei fatti, ancora nessuna sorveglianza sanitaria specifica (per amianto) è stata attivata, che si sappia, per il personale già esposto, come anche nessuna relativa tutela previdenziale.
Vorrei ricordare, a questo proposito, che tanti finanzieri hanno dato la vita in guerra e nell’espletamento dei loro servizi d’istituto e questa dell’amianto non è storia differente. Occorre, per questo, muoversi: il picco dei decessi è previsto in aumento. 

Troppo spesso osserviamo, in televisione e sui rotocalchi patinati, i diligenti finanzieri al servizio dell’Istituzione, schierati a difesa delle politiche fiscali ed economiche di turno; oppure attivi nei pericolosi servizi anticontrabbando/antidroga o nell’ordine pubblico, dimenticandoci delle loro tutele basilari. Parlo di quelle previste dalla Legge 257/92, che ha messo al bando l’amianto killer. Questo non va certo bene”.
                                                                                                                                        B. F.


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