Aminata Dramane Traoré e le donne del Mali dicono "no" alla guerra

Creato il 23 novembre 2012 da Marianna06

L’eventualità di una guerra prossima in Mali non è  poi neanche così remota(se ne parla parecchio negli ambienti deputati senza più nascondersi nemmeno dietro un dito) anche se, a dirla tutta, è dal marzo scorso che il Paese ha dimenticato cosa sia la pace.

Esso,infatti,vive a causa dell'embargo continue, notevoli e ripetute difficoltà di ordine pratico , nella quotidianità, che mettono a dura prova sopratutto la popolazione civile.

Sia uomini che donne,che anziani e che bambini.

 E questo è realtà  tanto a Bamako, la capitale, che nell’ultimo remoto villaggio rurale.

 In  particolare nella parte settentrionale il disagio è più che  pesantemente avvertito, dove tuareg e fondamentalisti islamici, che applicano la sharìa,  fanno, in mille modi , solo ed esclusivamente il  “cattivo” tempo.

Ed è difficilissimo mettersi al riparo da violenze, devastazioni e processi sommari.

L’ex-ministro della cultura,Aminata Dramane Traoré,brillante e nota scrittrice, e altre donne maliane hanno lanciato, allora, un appello al mondo politico internazionale, sostanzialmente guerrafondaio per i propri esclusivi interessi, agli  stessi governanti-fantoccio del Mali, all’Unione Africana (UA), che ha incassato solo brutte figure in occasione del conflitto libico e ai Paesi dell’Ecowas(Cedeao), perché non ci sia nessuna guerra a breve termine.

Esse palesano, senza troppi peli sulla lingua, l’ambiguità di un agire della comunità politica internazionale nel suo insieme.

 In primis la Francia, e poi tutti gli altri (anche i Paesi africani confinanti e la stessa Onu).

Le donne maliane sostengono che ciò che si vuole per davvero da coloro che si dicono paladini del Nord è mettere le mani e accaparrarsi materie prime strategiche e/o realizzare percorsi geo-politici utili e idonei.

E non si sbagliano.

Chi fosse scettico in merito, vada a documentarsi sul petrolio del Mali  e sull’uranio del vicino Niger.

Un tempo s’interveniva per sopperire a bisogni e a difficoltà di certi Paesi in ambasce da parte dell’Occidente con la cooperazione, oggi è cambiato il vento.

 E tutti,a ogni piè sospinto, intravedono nelle guerre , soltanto nelle guerre , la soluzione ai problemi che, di volta in volta , si presentano nel mondo.

Nemmeno il conflitto libico ha fatto riflettere abbastanza.

 E Aminata e le sue donne si riferiscono all’enorme quantità di armi che successivamente dalla Libia sono transitate agevolmente nei vicini Paesi del Sahel.

 Armi e uomini armati.

 Strumenti di morte e sbandati rancorosi in sostanza, disposti a mettersi al servizio di chiunque offra di combattere per una buona paga.

In conclusione le donne maliane chiedono all’Onu e al Consiglio di Sicurezza di non dare il consenso al piano militare della Ecowas(Cedeao) e all’Unione Africana, ugualmente, di fare altrettanto.

Le sanzioni economiche, in corso attualmente in Mali, hanno creato e creano nuove e impreviste povertà.

Una guerra,accanto al tributo di vite umane falciate, aggraverebbe di molto la situazione e porterebbe il Paese in un vicolo cieco da cui sarebbe difficile uscire.

Perciò il dialogo, se il mondo politico vuole smettere di fare professione di ipocrisia, deve essere, per Aminata e le sue compagne di lotta, lo strumento  preferito e privilegiato rispetto a  qualsiasi altra possibile strategia.

Guerra è sofferenza, devastazione, morte.

 Le donne maliane ,invece, amano la vita e auspicano presto e bene il ritorno di una pacifica convivenza per le loro genti.

Com’è giusto che sia.

   a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)


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