Magazine Cultura

Amleto (Shakespeare)

Creato il 16 febbraio 2016 da Athenae Noctua @AthenaeNoctua
La seconda tappa della #maratonahsakespeariana ha come protagonista Amleto, il principe danese che dà il titolo al più noto e apprezzato dramma Shakespeariano. Anche in questo caso, come in Macbeth, il Bardo si concentra su un personaggio nobile, destinato al regno, ma votato ad un delirio in cui si mescolano la lucidità del progetto di vendetta e le manifestazioni di follia necessarie ad attuarlo, ma allo stesso tempo determinate da esso. Il tema della pazzia e del rapporto fra la vita e la morte la fa ancora da padrone, e ad esso si intreccia l'espediente del teatro nel teatro (qui sviluppato più ampiamente di quanto non accadrà in Macbeth) caro alla tradizione secentesca in quanto occasione di rappresentare l'esistenza umana con le sue ambiguità e le contraddizioni, per smascherarne gli inganni.Amleto (Shakespeare)Datato 1602, il dramma rappresenta l'attuazione della vendetta di Amleto che, già ostile allo zio Claudio e alla madre Gertrude per la mancata osservanza del lutto per la scomparsa del padre, sovrano di Danimarca, e il repentino matrimonio contratto dai due, apprende dallo stesso spettro del defunto Amleto (o quello che presume esser tale, giacché lo sfiora il dubbio che possa trattarsi di un demone tentatore) che la sua morte non è stata naturale, ma provocata dallo stesso Claudio per la sua brama di potere. Le rivelazioni dello spettro trasformano il disagio e la malinconia pregressi di Amleto in un vero e proprio delirio: il principe è assalito dal disgusto per l'umanità, tormentato dagli interrogativi sul senso di un'esistenza ricolma di sofferenze e scorni della fortuna, incapace di accettare alcuna dolcezza, al punto da rinnegare qualsiasi sentimento per la dolce Ofelia, che affogherà prima nella follia e poi fra le acque di un torrente, lasciando sospettare un suicidio più che una fatalità. Nonostante i tentativi di Claudio e Gertrude di far ragionare Amleto invitandolo alla serenità (prima per amore o per una presunzione di amore, poi per paura delle conseguenze dei suoi gesti) e poi le azioni del re e dei suoi più fidati compagni per contenere il pericolo costituito dal giovane, Amleto persegue le sue intenzioni di vendetta dietro la maschera della follia. L'arrivo in città di un gruppo di teatranti è per lui l'occasione perfetta di provocare il senso di colpa di Claudio e Gertrude: Amleto fa loro recitare la scena della morte del re così come l'ha appresa dallo spettro, e legge nelle reazioni di Claudio una chiara confessione di colpa che innesca il necessario meccanismo della punizione, destinato a commutarsi in un bagno di sangue.
Qual grande opera è l’uomo! Quanto è nobile nell’intelletto!
Come è infinito nelle sue facoltà! Come è preciso e ammirevole
nella forma e nel movimento! Com’è angelico nell’atto!
Com’è divino nel pensiero! La bellezza
del mondo! Pietra di paragone degli animali! Ma per me
cos’è questa quintessenza di polvere? Gli uomini
non mi piacciono.
Amleto è l'eroe della modernità, o, per meglio dire, l'antieroe destinato a dominare le scene e la letteratura nei secoli successivi, fino alla sua consacrazione novecentesca. Perché Amleto è colui che vede la realtà al di là dei suoi camuffamenti, è colui che odia, per dirla come gli Scapigliati del XIX secolo, «il minio e la maschera al pensiero», che vede nell'arte uno specchio della natura più autentico della natura stessa, poiché essa si presenta sempre alterata da maschere, falsità, seduzioni. Per questo invita Ofelia a non truccarsi, per questo la sua avversione per Claudio non è soltanto quella di un figlio privato del padre, ma l'ira che nasce dal confronto con chi non ha il coraggio di ammettere ciò che è realmente. Amleto, quindi, diventa il dramma dei riflessi, delle messe in scena, degli inganni e dei tradimenti, in cui il nascondersi di Polonio dietro una tenda per ascoltare il colloquio di Gertrude con il figlio non è diverso dal veleno cosparso sulla punta di una lama per compromettere la lealtà di un duello. 
Essere, o non essere, questo è il problema:
è più nobile sopportare
i colpi e gli strali della mala sorte,
o imbracciar l’arme contro un mare di tormenti,
e, ad essi opponendosi, porvi fine? Morire, dormire.
Null’altro; e in un sonno dire che soffochiamo
il dolore del cuore e i mille naturali dolori,
retaggio della carne... questa è una dissoluzione
per cui pregare. Morire, dormire;
dormire, sognare, magari: ecco il problema.
Perché in quel sonno di morte, quali sogni possano giungere
una volta che avremo sciolto questo mortal fato,
dovremo trovar pace: questa la considerazione
che rende sventurata una vita tanto lunga.
Perché chi sosterrebbe le sferzate e gli scorni del tempo,
i torti dell’oppressore, le offese degli arroganti,
i morsi di un amore sdegnato, le lungaggini della legge
il peso dei doveri e gli scherni
che il merito paziente riceve dall’iniquità
quando da solo potrebbe darsi la pace
col nudo pugnale? Chi porterebbe fardelli
per gemere e sudare in una vita stanca,
se il terrore di qualcosa dopo la morte,
il paese inesplorato dai confini del quale
nessun viandante ritorna, non confondesse la volontà,
facendoci accettare i mali che ci son toccati in sorte
piuttosto che volare verso altri che non conosciamo?
È la coscienza che ci rende tutti codardi;
e così l’originario colore della determinazione
scolora alla pallida sfumatura del pensiero
e imprese vigorose e imponenti
di fronte a queste considerazioni deviano dal loro corso
e perdono il nome di azioni.

Amleto (Shakespeare)

Laurence Olivier in Amleto (1948)

Il principe di Danimarca è l'anticipatore del malato novecentesco, e non a caso egli è caro a Pirandello, il filosofo delle maschere: Amleto è colui che coglie la realtà e ne distingue le alterazioni, colui che tenta disperatamente di ripristinare la normalità del buon senso e della sincerità, ma che sa di essere destinato alla sconfitta, e allora assume il ruolo del pazzo, per poter continuare ad essere coerente nel suo disprezzo per le falsità degli esseri umani e nell'invocare una morte che è, allo stesso tempo, una liberazione e un atto di coraggio, al di là degli assurdi timori di ciò che non si conosce e dei giudizi morali. Uno slancio titanico che, se nel Novecento viene frustrato trasformando l'eroe in un inetto o in un malato, è tuttavia l'anima della melancolia e del Titanismo cari ai Romantici, che non a caso trovano in Shakespeare un ricco bagaglio di argomenti.
Rispetto a Macbeth, Amleto è risultato meno coinvolgente, ma non escludo che una buona parte della colpa possa essere attribuibile alla traduzione non proprio elegante di cui mi sono avvalsa, e che mi ha spinto qui a fornire una mia versione dei passi scelti (e a suggerire la migliore alternativa di Feltrinelli). Mi sono mancate la sintonizzazione con il sovrano scozzese, la seduzione del suo ragionamento e il crescendo del senso di fatalità. Amleto, insomma, mi è apparso meno definito, più sfuggente, meno simpatico (nel senso etimologico del termine). Shakespeare ha scelto una gamma tonale e una prospettiva differenti nell'offrirci i protagonisti dei due drammi, dando vita a due soluzioni comunque preziose e filosoficamente complesse, anche nell'intreccio, in Amleto, con riflessioni che vanno oltre la semplice etica, richiamando un dibattito religioso, come accade di fronte al presunto suicidio di Ofelia. Un dramma da leggere e rileggere, per coglierne le sfaccettature e per assaporarne i versi, meglio se nel confronto con l'originale, che ci permette di associare la sonorità alle atmosfere drammatiche che già la lettura silenziosa finisce per appiattire. Un testo, inoltre, che ha alle spalle una solida tradizione tematica classica e che ha davanti a sé infinite rielaborazioni, grazie all'istrionica figura di Amleto e alla sua duplice prospettiva di folle fedele ad un metodo.
Che la vostra prudenza
sia la vostra guida: adattate l’azione al mondo,
la parola all’azione, ma attenti a non oltrepassare
la moderazione della natura: qualsiasi esagerazione
è estranea allo scopo del dramma, il cui fine, in origine
come ora, era ed è porgere uno specchio
alla natura, mostrando alla virtù il suo aspetto,
al vizio la sua immagine e all’età e al tempo
la loro forma e la loro impronta.

Amleto (Shakespeare)

Joahn Everett Millais, Ofelia (1852)

C.M.Articolo originale di Athenae Noctua. Non è consentito ripubblicare, anche solo in parte, questo articolo senza il consenso del suo autore e senza citare la fonte.

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :