Studiare un ammasso aperto è un ottimo modo per verificare le teorie di evoluzione stellare, poiché le stelle si formano tutte dalla stessa nube di gas e polvere e perciò sono molto simili tra di loro – hanno più o meno tutte la stessa età, la stessa composizione chimica e la stessa distanza dalla Terra. Tuttavia, ogni stella nell’ammasso ha una massa diversa e le stelle più massicce evolvono più rapidamente delle loro compagne di massa più piccola perchè consumano l’idrogeno più rapidamente.
In questo modo si possono confrontare direttamente i diversi stadi evolutivi all’interno dello stesso ammasso: per esempio, è vero che una stella di 10 milioni di anni con una massa pari a quella del Sole evolve in modo diverso da un’altra stella della stessa età ma di massa pari alla metà? In questo senso, gli ammassi aperti sono ciò che gli astronomi possiedono di più vicino alle “condizioni di laboratorio”.
Gli ammassi aperti si trovano di solito nei bracci delle galassie a spirale o nelle regioni più dense delle galassie irregolari, dove è ancora attiva la formazione stellare. Messier 11 è uno dei più ricchi e compatti ammassi aperti: misura circa 20 anni luce di diametro e ospita quasi 3000 stelle. Gli ammassi aperti sono diversi dagli ammassi globulari, che tendono a essere molto densi, legati strettamente dalla forza gravità, e contengono centinaia di migliaia di stelle molto vecchie – alcune vecchie quasi quanto l’Universo stesso.
Poiché le stelle di un ammasso aperto sono legate le une alle altre in modo molto debole, le singole stelle possono essere facilmente espulse dal gruppo principale a causa degli effetti della gravità degli oggetti celesti vicini. NGC6705 ha almeno 250 milioni di anni e perciò tra alcuni milioni di anni probabilmente la formazione delle Anatre selvatiche si disperderà e l’ammasso si spezzerà e si mescolerà con l’ambiente circostante.
L’immagine è stata ottenuta con il WFI (Wide Field Imager) montato sul telescopio da 2,2 m dell’MPG/ESO all’Osservatorio dell’ESO a La Silla nel nord del Cile.
Il comunicato dell’ESO in italiano
Fonte: Media INAF | Scritto da Redazione Media Inaf