di Darko Strelnikov
La politica regionale scivola via, si nasconde, agisce in silenzio. Il tutto, come abbiamo visto e raccontato più volte, per evitare qualsiasi tipo di cambiamento. “A nuttata” è passata e la casta nostrale ha ripreso a fare la guardia ai suoi palazzi, dai quali non la smuove nessuno, manco le cannonate. Ma durerà poco. Perché c’è un intero universo in movimento. E parecchi di loro lo sanno. In questa precisa situazione la scelta ha infatti un duplice significato. Fare l’ennesimo, sperticato omaggio al dio della conservazione e prendersi una pausa in attesa di notizie più precise su come va il mondo. Si aspetta di sapere dalla vicina Roma se cambieranno il quadro delle alleanze, la legge elettorale, i partiti di riferimento, le regole e gli assetti istituzionali locali e via (contro) riformando. Si aspetta per trasferire il tutto, armi e bagagli, in quel di Perugia. E questo rappresenta una manna che permette di rifiatare. La convinzione diffusa che c’è in giro è che dopo le amministrative di maggio, niente sarà più come prima. E allora, tenendo stretto in pugno il motto “adeguatevi alla svelta”, meglio sedersi in sala di attesa e non cambiare nemmeno una virgola. I comuni che in Umbria andranno al voto presenteranno dunque, come nel resto d’Italia, il ventennale schema del dualismo tra le due vecchie coalizioni, centrodestra e centrosinistra. Aperture al centro e chiusure a sinistra non se ne vedono. Prima bisogna “piantare maggio”. A sinistra, magari si accontentano di aprile e, per questo, qualcosa si sta muovendo. Qualcosa che può andare bene adesso e anche in scenari futuri di diverso orientamento. Non riguarda il Pd detto “la mummia”. Riguarda l’altra sinistra che comincia “seriamente” infatti a pensare che il tempo dei dualismi e delle guerre tra poveri sia finito e soprattutto rischioso. Non è un cambiamento di poco conto. Fino ad ora la linea prevalente nelle piccole formazioni era stata quella di una conflittualità perenne, un continuo azzannarsi per catturare i pochi ossi che il Partito Democratico gettava sotto il tavolo degli incarichi istituzionali. Una tattica suicida che ha permesso al Pd di fare cappotto. I rappresentanti dei due quinti dei voti del centrosinistra non sono riusciti a portare a casa che qualche assessorato. Tutte le Giunte e i Consigli degli enti maggiori hanno, al vertice, un uomo o una donna con marchio Pd. La Margherita ai suoi tempi,con un sesto dei voti, si assicurava due dei 5 enti di riferimento. Ma non è questione di posti, ma soprattutto di contenuti. Per pesare sui programmi bisogna praticare una parolaccia, fino ad oggi disprezzata, da tutti : l’ unità. Adesso, pare (e sottolineo pare) si stia cominciando a fare autocritica. Si parte dalla sciagurata esperienza delle comunali 2011, quando la sinistra ha avuto tre candidati diversi a Città di Castello, un distacco dalle primarie di Gubbio e una unità di intenti solo ad Assisi dove, infatti ha battuto il candidato del Pd. L’esperimento più interessante sta, piano piano, venendo fuori in quel di Todi. Lì si sta lavorando ad una civica di sinistra che i promotori vogliono sia il più aperta possibile a persone non di partito, provenienti dai movimenti, dall’associazionismo o semplicemente apprezzate nei luoghi in cui vivono e nei posti dove lavorano. Ma anche negli altri comuni le proposte del Pd non vengono accettate a scatola chiusa. Dopo Todi si è aperta la guerra dei piccoli comuni; la richiesta è di andare alle primarie dove è possibile. Su questa linea sembra particolarmente attiva l’Idv. I suoi candidati potrebbero ricevere l’appoggio di Sel, dei verdi, della Federazione della sinistra e di alcuni pezzi di associazionismo, salvo che a Bettona dove il Prc presenta un proprio uomo (Schippa). La risposta di Piazza della Repubblica è, come di dice in politichese, “articolata”, cioè piena zeppa di confusione. I democratici, tanto per cambiare, non hanno una linea univoca di riferimento. Non l’hanno perché gli organismi di partito non sono in grado né di produrla, né di farla passare. Il segretario provinciale Rossi, tanto per prenderne uno a caso, non è riuscito a chiudere nessuno dei problemi che si sono aperti nel territorio. Dal Trasimeno ad Assisi, Da Gualdo Tadino a Nocera, passando per Città di Castello. E allora, secondo il volere dei “rassottini” locali, una volta il Pd è per le primarie, un’altra per un candidato secco da far accettare alla coalizione, un’altra volta per tutte due o nessuna delle due. E mi fermo qui per mancanza di opzioni. Ne viene fuori un arcipelago senza una precisa logica, composto da gente risorta dal tempo del Cremlino (Damiani di Deruta) e novità degne di rispetto (la Cimino a Bettona), che essendo giovane e , dicono, anche capace, è stata subito osteggiata in loco. Ma non è solo incuria. Per le logiche del Pd, messa in cassaforte la candidatura di Todi (Rossini) il resto ha poca importanza. E quella che sembra ordinaria amministrazione, può diventare una sperimentazione, molto utile per un futuro non troppo lontano. Una sperimentazione che adesso è dentro la normalità del centrosinistra. Con l’aria che tira, potrebbe anche essere l’ultima volta.
Strelnikov.d@libero.it