Sin dalla mia infanzia ho sempre vissuto in un piccolo paese dell’entroterra della provincia palermitana, Lercara Friddi, comune tristemente noto alle cronache locali per non aver investito un solo centesimo nell’anno 2010 e verso cui i miei compaesani nutrono un forte sentimento di odio-amore. Mi capita sempre più spesso di sentire gente che rivolge aspre critiche alla situazione di involuzione che il paese sta subendo e io per prima non ne parlo certo bene; ma è anche vero che Lercara ha conosciuto un periodo di grande prosperità, iniziato alla fine degli anni ‘20 dell’Ottocento.
Forse non tutti sanno che una parte del territorio centrale della nostra isola, comprendente zone della provincia di Agrigento, Caltanissetta, Enna e Palermo, è ricchissima di giacimenti di gesso ma anche e soprattutto di zolfo, tanto da essere definita in geologia come altopiano gessoso-solfifero. Lo zolfo, infatti, costituiva una delle maggiori risorse minerarie della Sicilia e, nella fattispecie, quello di Lercara è l’unico giacimento minerario della provincia di Palermo, tant’è che ancora oggi i lercaresi possono avvalersi del soprannome di surfarara**. Come detto precedentemente, possiamo indicare come data d’inizio della prosperità zolfifera lercarese il 1828, anno in cui si iniziò ad intuire la presenza di giacimenti nei pressi del colli alle cui pendici sorge il paese. Alcuni anni dopo sorsero le prime miniere e gli scavi cominciarono in maniera regolare. L’industria zolfifera siciliana cominciò a mostrare segni di cedimento all’inizio degli anni ‘50 del Novecento; dal 1957 ha inizio una grave crisi che porterà alla successiva chiusura delle miniere in Sicilia; le miniere di Lercara verranno chiuse nel 1969.
Busto di Alfonso Giordano.
Gli uomini che lavoravano in miniera provenivano anche da luoghi molto lontani e ricevevano un misero salario che bastava appena ad affrontare le spese quotidiane; inoltre, essi lavoravano in condizioni igienico-sanitarie a dir poco disastrose, ai limiti dello sfruttamento (si lavorava per ben otto ore in condizioni estreme), ed erano esposti giornalmente al rischio di contrarre diverse malattie ed alterazioni del corpo a causa dell’inalazione dell’acido solforoso e di altri gas, per non parlare dei numerosi crolli che negli anni hanno interessato i quattro pozzi minerari del paese. Anche donne e bambini erano impiegati nel lavoro in miniera; i carusi*** erano destinati all’estrazione del minerale e al trasporto a dorso all’esterno del giacimento e non veniva concesso loro alcun riposo. Molti giornalisti, studiosi, medici, alcuni provenienti anche dall’estero, si interessarono alle condizioni di vita degli zolfatari del paese e si recarono ad effettuare i loro studi sul posto allo scopo di rivendicare i diritti di questa classe di lavoratori. Tra i vari studiosi vi fu anche un cittadino lercarese, il dottor Alfonso Giordano, il quale portò avanti alcune iniziative in aiuto dei lavoratori delle miniere. Inoltre, egli è oggi ricordato per la scoperta dell’anchilostomiasi, malattia che veniva spesso contratta dai minatori e che, se non diagnosticata e curata in tempo, poteva anche portare alla morte. Oggi l’insigne medico è ricordato con un busto sito in una delle piazzette del paese. In tempi più recenti, all’inizio degli anni ‘50, lo scrittore piemontese Carlo Levi fu a Lercara, in un periodo in cui era in corso una rivolta sindacale nelle miniere, e registrò le sue impressioni; i suoi appunti diedero vita all’opera “Le parole sono pietre”. Purtroppo, nonostante le numerose pubblicazioni che denunciavano la pietosa situazione di questi luoghi, non ci fu mai alcun miglioramento sensibile.
Le miniere furono, dunque, luogo di degradazione e lutti, ma non solo questo; portarono anche lavoro, benessere, evoluzione e cultura. Grazie alla presenza dei giacimenti zolfiferi e all’ottima qualità del materiale Lercara, piccolo centro dell’entroterra siciliano, si affaccia all’economia mondiale e diventa meta di numerosi capitalisti, sia italiani che stranieri. Molti degli imprenditori che gestivano le miniere erano dei cittadini lercaresi e questo portò alla nascita di una nuova classe imprenditoriale nella società del paese; sorsero anche altri nuovi mestieri che ruotavano intorno all’attività d’estrazione e fiorì l’artigianato. Riguardo all’artigianato, nel territorio lercarese venivano realizzate delle sculture chiamate strunziane, che si ottenevano immergendo in un recipiente pieno d’acqua l’olio ricavato dalla lavorazione dello zolfo, che in questo modo assumeva delle forme molto particolari. Anche l’attività commerciale fu interessata da un veloce sviluppo, favorito dalla posizione strategica della cittadina, che si trova a metà strada tra Palermo ed Agrigento ed era quindi luogo di passaggio per i convogli e le carovane di animali con cui, fino alla prima metà dell’Ottocento, venivano trasportate le merci. Inoltre Lercara, in seguito allo sviluppo di quest’attività industriale, ebbe nuove esigenze urbanistiche; la zona urbana venne, infatti, ampliata. Questo ampliamento determinò un aumento di servizi e attività che per lungo tempo furono fondamentali per la vita del paese, come ad esempio una pompa elettrica che venne costruita sul prolungamento di una delle strade più antiche del paese e che veniva utilizzata per estrarre dal sottosuolo l’acqua che rendeva difficoltosa l’estrazione; l’energia prodotta veniva utilizzata anche per l’illuminazione notturna del paese. Vennero costruiti anche due tratti di linea ferrata, che furono inaugurati tra il 1870 e il 1874.
Scorcio di uno dei ruderi delle zolfare lercaresi.
Ma che cosa rimane oggi del patrimonio culturale che le miniere lercaresi hanno portato con sé nel corso degli anni? Allo scopo di preservare le testimonianze della vita di quegli anni sono stati istuiti nel 1993, grazie ad una legge regionale, un museo ed un Parco archeologico-industriale della zolfara. Purtroppo è anche vero che la zona non è di certo nel migliore degli stati e che molti dei sentieri che si snodano tra i resti dei pozzi d’estrazione sono ormai abbandonati e difficilmente praticabili. Questi e molti altri posti dell’entroterra, che siano o no presenti delle risorse minerarie, sono dei luoghi ormai dimenticati. Forse, piuttosto che continuare a lasciarli nello stato in cui si trovano adesso, le istituzioni potrebbero attivarsi al fine di rimettere in sesto questi siti che un tempo hanno dato così tanto lustro alla zona centrale della nostra isola, in modo da rivitalizzare la cultura dell’entroterra e riportare alla memoria delle nuove generazioni tradizioni, storie e testimonianze ormai dimenticate.
* Il titolo è tratto da un canto popolare che i minatori intonavano durante le ore di lavoro. Letteralmente vuol dire “spingi, spingi che è lunga”, in riferimento alla lunghezza della galleria.
** Siciliano per zolfatai.
*** Siciliano per bambini, in alcune zone dell’isola.