Magazine Cinema
di Pippo Delbono
con Irene Jacob, Bobò, Marisa Berenson
Italia 2011
genere, drammatico
durata,75'
L'accostamento provoca un certo effetto, perchè ad essere messi uno di seguito all'altro sono due universi normalmente antitetici, ed allo stesso tempo complementari, con l'afflato amoroso se non contrapposto normalmente tangenziale alla consistenza evidente e prosaica della dimensione carnale. Ma non solo, perchè "Amore carne" il titolo del film di Pippo Delbono nel proiettare i due termini nell'assoluto di una composizione che non prevede altri accostamenti cancella in un attimo l'enfasi che solitamente accompagna questo tipo di parole, e nello stesso tempo ci fornisce le chiavi del mantra - "amore carne, amore carne" ripete a mò di nenia Delbono ad un certo punto del film - che permettono di entrare senza pregiudizi all'interno di un racconto filmico apparentemente ostile, certamente non facile. D'altronde non poteva essere altrimenti avendo a che fare con un artista che prima del cinema aveva avuto modo di esibire il suo talento innovativo ed anticonformista nei palcoscenici del mondo, con allestimenti teatrali fortemente contaminati da altre forme artistiche (danza e musica soprattutto) e mai disgiunti dalla vita, se è vero che molti dei suoi spettacoli affrontano temi sociali delicati e spesso scansati dalla cultura più ufficiale.
In questo caso a farla da padrone, almeno se vogliamo dare retta all'eco che ha preceduto l'uscita del film, è la scelta di girare utilizzando per quasi tutte le riprese uno smartphone, di cui Delbono si serve per raccontare di se e degli amici intercettati nel corso del viaggio esistenziale e geografico lungo le strade d'italia e d'Europa. In realtà se inquadriamo l'eccezionalità del mezzo filmico come una necessità innanzitutto linguistica, necessaria al regista per esprimere al massimo grado un'adesione alla vita che solo la presenza "invisibile" del cellulare poteva moltiplicare, ad interessare è la densità magmatica dell'esistenza che Delbono riesce a trovare attraverso la duttilità di uno strumento che riesce a condensare frammenti di vita dei più disparati: dalla messainscena della sieropositività, rubata all'ambulatorio d'ospedale dove Delbono di fronte all'ignara dottoressa si sottopone al prelievo del sangue facendo finta di non conoscerne gli esiti, all'anziana madre a cui il regista toglie l'audio per impedirsi di riascoltarne le litanie ed i rimbrotti, ad amici ed artisti (Irene Jacob, Tilda Swinton, Bobo, Marisa Berenson) chiamati a fissare con un espressione del volto o con un frammento del proprio vissuto i particolari di un esistenza che Delbono scompone in una serie di isole visive ed emozionali, supportate dai versi di poeti come Rimbaud, T.S. Eliot e Pasolini, e tenute insieme da un crogiolo di pulsioni che oscillano tra voglia di fuga ed immersione totale nelle vite degli altri.
Il risultato è un flusso di coscienza attraversato da sentimenti ambivalenti e da domande destinate a rimanere insolute tanto nella visione di una vecchiaia interrogata nei suoi aspetti meno retorici - illuminante è il vaticinio dell'ottuagenario solitario e spaventato da una realtà che finge di capire e di anticipare- che nei ricordi devastanti ed irredimibili dell'olocausto, scolpito nella visione muta e solitaria del campo di concentramento ripreso rigorosamente dall'esterno, a testimoniare nella volontà di non oltrepassarne il cancello un pudore per un dramma che non ha bisogno di ulteriori aggettivazioni. In questo modo "Amore carne" diventa l'attestato di un'arte irriducibile alle leggi del mercato ed allo stesso tempo espressione di una libertà che Delbono traduce senza fare sconti sulla comprensibilità dei contenuti. Da "sentire" e da ascoltare il film ha forse il limite di essere troppo legato all'esperienze extra cinema del suo autore di cui il lungometraggio sembra quasi filmarne un primo consuntivo. Delbono s'intravede a stento: un occhio, un pezzo di viso, a testimoniare forse il bisogno di dimenticarsi dentro l'occhio della "telecamera", come se sparire dallo schermo servisse ad immaginarsi al di fuori della vita che gli appartiene, riversato per il tempo della proiezione all'interno che gli/ci scorre davanti. Presentato a Venezia nell'ultimo anno della gestione di Marco Muller "Amore carne" arriva nelle sale dopo quasi due anni dalla prima apparizione. Come un alieno giunto sulla terra appare fuori posto, disturbante nella sua diversità.
(pubblicata su ondacinema.it)
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