(…) (…)
Mario Brega
«Te sei degnato finarmente de venì qui, guarda che t’ho fatto a sto negozio…»“«Eh, è bello, è cambiato da così a così…»
«Te l’ho rifornito di tutta la roba, c’ho speso lì milioni, ma tutta roba de prima qualità…Tiè senti sto prosciutto che d’è, senti come è dorce…»
«Eh… ho mangiato!»
Carlo Verdone
«Senti sto’ prosciutto t’ho detto è dorce… E’ un zucchero… Ah Sergio ‘o senti? E st’olive ‘e senti, queste so’ greche so’, aho! Greche… E annamo… E daje… So’ greche… So’ bone, come so’? Dì la verità!»«So’ greche!»
«Senti Sergio, io e te dovemo fa’ un ber discorso. Me devi dire, si non so’ troppo indiscreto, ma te che c***o voi da mi fija?»
«In che senso?»
«In che senso? Io c’ho ‘na fija sola e non me va che va presa in giro…»
«Ma io mica la prendo in giro, anzi!»
«Mo’ te vojo riccontà n’fatto che m’è successo ieri.
M’ha detto: “Papà, che me porti a comprà ‘n pajo de scarpe a Via Veneto?” Capirai a me me s’è allargato er core, io e mi’ fija a Via Veneto, guai a chi me la guardava.
Mentre se stava a guardà la vetrina de scarpe, passeno du’ giovanotti e dicheno ‘na frase che a me nun m’è piaciuta, io me giro e dico “A cornuto! Vie’ qua a cornuto!”. È venuto tutto spavardo, er più grosso, e m’ha dato un cazzotto in bocca: me lo so’ guardato, ho sputato e j’ho detto: “Manco er sangue me fai usci’, a cornuto! In guardia!”. J’ho dato un destro ‘n bocca m’è cascato per tera come Gesù Cristo… J’ho rotto er setto nasale, j’ho frantumato le mucose, e je dicevo “Arzete, arzete, a cornuto arzete!” j’ho detto!… Pieno de sangue per tera, a ettolitri… Non s’è arzato. Me lo so’ guardato, me so’ girato, me so’ risistemato ‘a giacca. M’ha detto “papà che è successo?” mi fija. “Niente, due de passaggio, ‘namo a compra’ le scarpe” j’ho detto. Senti: te la sposi o non te l’a sposi mi fija?»
«No, ma io me la sposo. Adesso giusto il tempo un po’ de…Così un po’… De ingranare con questo lavoro nuovo».
«A’ Sergio so’ quattr’anni che ingrani co’ sto lavoro! Qui dentro è già ingranato tutto».
«Eh…»
«A’ Sergio: pensa che è mi fija!».
I buoni propositi del sor Augusto (Mario Brega), colmi di un amore paterno concretamente avvertibile, rivolti a Sergio (Carlo Verdone), il fidanzato, ormai da quattro anni, della sua unica figlia Rossella (Roberta Manfredi). Il film è Borotalco (1981), terza regia di Verdone, il quale, pur impegnato in un doppio ruolo, si distacca ora dal fregoliano macchiettismo degli esordi (Un sacco bello; Bianco, rosso e Verdone), per dar vita, cosceneggiatore insieme ad Enrico Oldoini, al suo primo film “completo”.
Le indubbie doti registiche offrono il giusto rilievo, oltre alla brava coprotagonista Eleonora Giorgi nei panni di Nadia, anche a coloro che, in apparenza personaggi minori, assumono invece una certa importanza nella storia, tanto da divenire col tempo parte dell’immaginario collettivo.
Difficile dimenticare l’aspirante ballerino Marcello (Christian De Sica), Rossella (Roberta Manfredi) e la sua esternazione delle più elementari aspirazioni borghesi, ideale prosecuzione di quelle proprie del truce genitore, lo straordinario Brega, e, soprattutto, Manuel Fantoni ovvero Cuticchia Cesare (Angelo Infanti) “uomo di mondo” dalla vita omerica, almeno a parole (“un bel giorno mi imbarcai su un cargo battente bandiera liberiana…”).
Sarà lui ad ispirare Sergio nella creazione di un disinvolto alter ego, idoneo a farsi carico di quel minimo di teatralità che la vita spesso richiede per affrontare il quotidiano e poter andare avanti, nel tentativo di non superare il labile limite tra sogno e realtà, bensì lambire le sponde di ambedue.