Le case editrici si sforzano nel trovare sempre slogan altisonanti per il lancio dei romanzi di cassetta, millantando continuamente capolavori e sforzandosi di farci credere che un grande maestro della penna si può scoprire ogni quarto d’ora.
Le fascette che avvolgono le sovraccoperte dei rilegati strillano di continuo la nascita di nuovi Balzac e di Proust del nostro secolo. “Un romanzo unico, straordinario!”, “Più bello di così si muore!”, “Il più grande scrittore lanciato tra ieri e oggi!”
Ma, a dispetto di quanto cercano di inculcarci nella mente le strategie di marketing editoriale, la verità è che la storia della letteratura contemporanea è fatta di migliaia e migliaia di autori normalissimi, di prodottini validi per un consumo usa e getta, perché di geni, per fortuna, ne nascono due o tre al massimo in un secolo intero.
Ieri però, recandomi alla libreria Feltrinelli del centro per l’irresistibile curiosità di vedere quanti insuperati maestri della narrativa sono arrivati sul mercato in quest’ultima settimana, fermo al semaforo col mio scooter mi sono imbattuto in un vero e proprio maestro dello scrivere, un anonimo che immagino non finirà in nessuna chart di bestseller, ma che in poche parole ha saputo dimostrare un talento innato per la scrittura.
Tracciata a pennarello nero punta grossa sulla parete metallica di un gabbiotto del trasporto pubblico stava questa frase che, non avendo resistito all’idea di scendere dal motorino per fotografarla, sono ora in grado di postare qui sopra: “Ti voglio bene ma tu mangi McDonald’s”.
Sette parole che sono un racconto straordinario, un perfetto esempio di genio letterario. E poco conta se il/la graffitaro/a improvvisato/a dimostra poca dimestichezza con la lingua italiana visto che aveva dapprima iniziato la frase con uno sgrammaticato “Ti vogilo”. Quella piccola dichiarazione di amore/odio in salsa barbecue varrebbe da sola i quindici-diciotto euro che spesso tutti noi spendiamo per acquistare libri fatti di trecento pagine e nemmeno una frase interessante.
Ognuno può leggerlo e interpretarlo come vuole, quel piccolo e completissimo racconto. E’ certo una storia d’amore, ma a seconda degli occhi che ci si posano sopra può diventare un comedy alla Sex and The City oppure assumere i connotati di una social-novel contro lo strapotere del capitalismo. Può essere un saggio sulla cattiva alimentazione che distrugge le nostre passioni naturali o una struggente lettera di addio di un innamorato a dieta di sentimenti.
“Ti voglio bene ma tu mangi McDonald’s” è insomma una delle migliori opere di narrativa che mi sia capitato di leggere nell’ultimo anno a dispetto del numero enorme di titoli che passano per le mie mani da divoratore di storie. Mi fa ridere, mi fa piangere, mi fa ragionare su. Mi fa venire un po’il voltastomaco e un po’ la voglia di andare a ingurgitare un McChicken Menù. Mi mette di fronte alle mie contraddizioni di uomo e alle follie che mi circondano e che sono abituato a definire “vita”.
Che poi è ciò che pretendo da ogni opera letteraria degna di questo nome.