In una società liquida frammentata, polverizzata, anche l’amore diventa liquido e «La solitudine genera insicurezza, ma altrettanto fa la relazione sentimentale. In una relazione, puoi sentirti insicuro quanto saresti senza di essa, o anche peggio. Cambiano solo i nomi che dai alla tua ansia». Così chiosa il sociologo Zygmunt Bauman nel suo saggio da cui il regista Marco Luca Cattaneo mutua titolo e spunti riflessivi.
Amore liquido (Miglior lungometraggio italiano al Riff 2010) ben riesce a rendere visivamente l’ardua impresa di raccontare le relazioni, oggi, in un tempo amniotico dove il consumo ha rapito il corpo e la sua sessualità, svuotandoli di senso e relegandoli in un recinto di pulsioni e dipendenze ossessive. Una Bologna estiva, deserta e vagamente inquietante, scandisce la quotidianità di Mario (un convincente Stefano Fregni), quarantenne operatore ecologico e pornodipendente. Solo l’incontro casuale con una giovane ragazza madre potrà innescare un cortocircuito di sentimenti ed emozioni non filtrato dal video, con cui Mario dovrà fare i conti. Tempi cinematografici silenziosi e diluiti, anch’essi liquidi, per un film indipendente realizzato con pochi mezzi ed una fotografia ottima ed essenziale.
Natasha Ceci