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Cassandra al matrimonio, di Dorothy Baker

Creato il 09 giugno 2015 da Diletti Riletti @DilettieRiletti

Succede, credo, a qualunque lettore di sentirsi “chiamare”. Uno sta spolverando, lavorando al pc, guida nel traffico (una delle mie attività d’elezione), e sente un languorino che dice che non dovrebbe essere lì, ma con “quel” libro in mano. Come se qualcosa – qualcuno- lì, in quelle pagine, stesse aspettando te, proprio te, per andare avanti. E non dipende da una particolare qualità della storia, quanto dalla capacità dell’autore di creare degli invisibili ganci tra il narrato e la realtà che impediscono che quanto letto scivoli via, delle lappole che si attaccano tenaci alla pelliccia cane/lettore che attraversa il campo e non si tolgano più.

Quando per Non sono Sòle è stato proposto come libro di lettura comune “Cassandra al matrimonio” di Dorothy Parker, non ero convinta. Anzi. Sinceramente, la copertina rétro non mi ispirava, e neanche il titolo: temevo l’agguato del polpettone romantico (anche se, proposto da Pino Sabatelli, mi avrebbe meravigliato non poco).

Invece, dopo un inizio cauto, novella Giovanna d’Arco, ho iniziato a sentire le voci. In realtà, la voce era una soltanto, ma quanto insistente. Una lappola, appunto, che non si scollava in nessun modo.

Cassandra e Judith sono sorelle e gemelle, identiche e opposte. Figlie di un professore di filosofia ad un passo dall’alcolismo e di una madre scrittrice morta tre anni prima e comunque sempre assente, le sorelle hanno percorso lo stesso cammino –in evidente simbiosi, accentuata dall’isolamento nel ranch di famiglia e da un’educazione anticonformista, lontana  dal perbenismo della provincia americana tra gli anni 50 e gli anni 60. Cassandra, voce narrante della prima e più importante parte del libro, studia a Berkeley, lontana dalla famiglia e dalla sua inscindibile metà da quasi un anno: questa lontananza non ha fatto che accentuare una nevrosi già radicata (tant’è vero che Cassandra è in cura da tempo), ma l’elemento deflagrante e che dà il via alla narrazione  è il matrimonio annunciato di Judith. Questo evento – temuto, desiderato, sognato, sperato, ignorato via via dai membri della famiglia- per Cassandra è una ferita mortale, un attentato chirurgico al legame siamese che la cuce a Judith.

Come dicevo, il libro si apre con la voce narrante in prima persona di Cassandra: una voce leziosa, all’inizio, infantile, viziata, respingente. Non si riesce a comprendere bene come, ma si ha l’impressione da subito che la ragazza che guida non proprio sobria verso casa non stia dicendo tutta la verità, che stia in qualche modo manipolando il lettore e se stessa per convincerci e giungere al compimento del suo piano: quel matrimonio non s’ha da fare. Nel proseguirsi della narrazione, la voce di Cassandra si spoglierà delle maniere per mostrarsi nuda, smarrita e smagrita, dolorante. Il viaggio che è un lungo parto, il ricongiungimento con l’amata metà nel liquido amniotico della piscina di casa, le doglie laceranti che porteranno alla separazione forzata e forse –forse!-all’accettazione durano nella narrazione due giorni, ma quanto intensi e sconvolgenti. Ed è anche la brevità dell’azione a conferire al libro densità e carattere drammatico.

Ma il vero merito del romanzo della Baker è nell’analisi della personalità sconvolta di Cassandra che si rivela nella sua devastazione poco a poco: la scrittura tagliente come un bisturi esamina i gangli nervosi delle relazioni tra gemelli, delle separazioni necessarie che segnano l’ingresso nella vita adulta. Judith, con il suo equilibrio e la sua comprensibile tensione verso una felicità normale, un amore pacifico, una famiglia serenamente borghese, sembra essere un’appendice, copia sbiadita e inamidata della sorella. E anche i personaggi che ruotano attorno alle sorelle, benché non descritti in maniera approfondita, sono interessanti,  toccanti il dolore e la solitudine del padre inzuppati dall’alcol, commoventi la tenerezza e l’apprensione di una nonna non abbastanza considerata e che tuttavia tenta di impastare i membri di una famiglia bislacca, nonostante nonna e padre suscitino a tratti irritazione.

Lo stile è aiutato dalla splendida traduzione contemporanea di Stefano Tummolin (l’edizione originale è del 1962) e non mostra assolutamente cedimenti o rughe, energico, attuale, fluido; la penna della Baker risulta vitale e acuta, quasi vigorosa.

Tra tanti romanzi -anche contemporanei- spacciati per capolavori ed assolutamente  dimenticabili, Cassandra al matrimonio è una lettura che induce alla riflessione sui rapporti (non necessariamente gemellari) tra membri di un nucleo familiare. Il tutto con una piacevolezza di lettura ed un coinvolgimento molto elevati, le lappole di cui vi parlavo prima, per cui Cassandra vi chiamerà da queste pagine e anche alla fine della lettura non scivolerà via senza lasciarvi segni.


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