«Nelle stanze e sulla terrazza, il regista e la sua “équipe”, inscenano una sorta di remake di un suo film di qualche anno prima, Ecstasy Garden. Il film coniuga realtà e finzione, una madre-vampiro con sua figlia, due giovani amanti e il fiume. Mekong Hotel, poiché il film è stato girato quando il Paese ha subito una delle più devastanti inondazioni della storia, procede in un’atmosfera decadente, in cui la politica non lascia sognare e la deriva sembra essere l’unica possibilità futura».
Una scena di “Mekong hotel”
In sintesi, un’opera piú elitaria rispetto a Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti. Un pezzo d’Indocina lo ritroviamo anche in “The sapphires”, anch’essa presentata a Cannes. Qui é il Viet Nam del ‘68, pieno periodo bellico, a far da sfondo a una storia di razzismo, e alla difficile integrazione degli aborigeni australiani. A seguire un brano della recensione pubblicata su Brescia oggi.
«Tra le sorprese del Festival si inserisce, fuori concorso, The Sapphires del regista australiano Wayne Blair, un film colorato e fresco che con serietà prende in giro il razzismo e la guerra, raccontando di un gruppo di ragazze aborigene che si ritrovano a cantare soul nei concerti per truppe americane in Vietnam. Siamo nel 1968 e in Australia è grande il razzismo bianco nei confronti degli aborigeni che da poco hanno acquistato il diritto di voto ma ancora vivono in riserve recintate con il filo spinato».
(Francesco Giappichini)