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Un elemento importante nella base culturale della popolazione scozzese è la produzione di whisky di malto, di cui la Scozia rappresenta uno dei più noti (combattendone il primato col Giappone). Basti pensare che alcuni paesi esistono SOLO per la produzione della distilleria di whisky attorno a cui il paese stesso è nato… e di cui, talvolta, porta pure il nome. Una mentalità di questo genere può sembrare paradossale per noi italiani, ma la realtà scozzese è decisamente molto differente dalla nostra e bisogna viverci per un po’ in contatto prima di poterla comprendere. Soprattutto al di fuori delle grandi città: nelle città come Glasgow o Edimburgo, infatti, questa cultura tende a diluirsi molto... e non sorprende trovare in esse persone fondamentalmente ignoranti sul tema. Il protagonista del film (Robbie) rientra proprio in questa categoria: ceto molto basso, carattere difficile e aggressivo, indole violenta, tanti problemi con la legge, ma con un immentente cambiamento in arrivo, un cambiamento così importante da spingerlo a cercare di modificare davvero il suo stile di vita. In questa ricerca, inciampa involontariamente in un tutore molto appassionato di whisky, che lo prende in simpatia e decide di introdurlo nell’ambiente. Inaspettatamente Robbie scopre di avere un talento naturale verso questo prodotto, se ne appassiona e comincia ad approfondirne la conoscenza. Così facendo scopre anche cosa sia la famosa “quota degli angeli” (The Angels’ Share), cioè quella parte alcolica che evapora dalle botti durante l’invecchiamento e che -non essendo concepibile vada dispersa, vista la preziosità del liquido- si dice per tradizione che sia la parte che spetta, o che è donata, a queste figure celesti.
Ken Loach non ha cercato di realizzare un film complesso: la trama in realtà è semplice e il tema della produzione del whisky è l’elemento che usa per approfondire meglio l’aspetto umanodella storia, quello -cioè- che lui solitamente preferisce trasmettere nei suoi film. Pertanto non bisogna affrontarlo aspettandosi qualcosa di sorprendente: la sua forza è nella capacità di trattare con delicatezza e cura lo sforzo di un giovane in lotta contro la sua natura di scapestrato, per diventare finalmente l’uomo giusto per il nuovo futuro che lo aspetta.
Ovviamente all’interno di questo piccolo capolavoro non poteva mancare una delle chicche di cui mi nutro, visto anche il peso che viene dato al Single Malt Whisky: solo chi ha avuto modo, da appassionato, di visitare almeno una distilleria scozzese può comprendere l’emozione ed i brividi che la scena della stessa visita nel film arriva a suscitare. Purtroppo non la posso mostrare: se interessa seguite il mio consiglio, andate a vedere il film.
Essendo il Single Malt Scotch Whisky il tema fondamentale di questo post (ormai si dovrebbe essere capito) ho deciso di condividere, con chiunque non lo sappia, quale sia (secondo i miei personali gusti da appassionato e non da esperto) il mio preferito fra gli innumerevoli Single Malt esistenti: ABERLOUR 16 y.o. Qui si tratta di una distilleria dello Speyside, proprio una di quelle che dà il nome al paesino in cui si trova. Nasce in prossimità della confluenza (Aber) tra il ruscello Lour (“chiacchiericcio”) ed il grande fiume Spey (quello che spacca in due la Scozia), proprio vicino alla sua foce. Lì la produzione prevede di invecchiare una quota di distillato in botti di bourbon (più dolce) ed il resto in botti di sherry (più aggressivo), combinandoli poi con opportune percentuali che cambiano in funzione dell’invecchiamento. Una particolarità curiosa è che mentre il 10 anni risulta decisamente aggressivo pur avendo solo il 10% di invecchiato botte di sherry, il 16 anni, che ne prevede ben il 50%, ha invece un gusto molto morbido e piacevole, con una gradevole permanenza in bocca. Questo la dice lunga su quanta differenza possano portare i 6 anni di ulteriore invecchiamento.
Enjoy!
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