Magazine Cinema

Anche troppo

Creato il 30 gennaio 2013 da Robomana
Anche troppo E' uscito Lincoln, ne hanno scritto in parecchi, in America si stracciano le vesti da mesi, tra un po' c'è l'Oscar e qualcosa a casa se lo porta di sicuro, magari non il miglior film, ma la regia e Day Lewis è molto probabile di sì. Non c'è che dire: come operazione commerciale e artistica Lincoln è perfetto, è esattamente il film adatto per i nostri tempi, che rilegge la politica del passato proiettandola sul presente, che testimonia una delle ansie della cultura contemporanea, quella cioè di confrontarsi con il potere e sfidarne la forza di persuasione (Zero Dark Thirty, certamente, ma anche le riflessioni di McEwan in Miele), che regala l'ennesima parte della vita all'unico attore misterioso e misterico rimasto sulla piazza, quello che se c'è lui allora il film è già di per sé un tour de force e una cosa da non credere. Soprattutto, Lincoln è diretto da uno dei pochissimi autori che oggi può permettersi di fare il serio (anzi, quasi il barbogio, vista la verbosità dell'operazione), il simbolico, il retorico, l'eccessivo - e per di più stavolta senza un briciolo di ironia, che sarebbe stata fuori luogo - senza per questo venir accusato di seriosità, simbolismo, retorica, mancanza di ironia, visto che viviamo il tempo della continua riscoperta e rivalutazione, anche quando le cose sono state riscoperte e rivalutate anni fa, e dunque ancora oggi c'è gente che crede ci sia qualcuno, chissà dove e chissà come, convinto che Spielberg sia solamente quello dei giochini, e quindi uno da difendere coi denti e con le unghie, uno la cui importanza è sempre da ribadire e rivendicare, uno che a ogni film è una continua sorpresa, visto che ora parla di Guerra civile e di schiavitù, di Obama e di retorica dell'unione, mentre prima faceva solo cazzare alla Hook, e non si fosse mai soffermato a contemplare le rose del capitano Miller.
Spielberg con Lincoln ha girato il suo ennesimo film fondamentale sulla storia presente e passata degli Stati Uniti, ma non per questo un film imprescindibile in sé o sorprendente rispetto agli altri. Anzi, a conti fatti l'operazione dice del suo autore e della sua idea di Storia raccontata dal cinema (di come la vede lui in persona, mentre a casa sua legge Reid Mitchell, importa poco) molto meno del precedente War Horse, che era un'operazione ludica, sentimentale, puramente cinematografica, con però Spielberg metteva a confronto lo sguardo del linguaggio classico con l'orrore della Storia e la forza del sentimento.
La retorica classica dello svelamento, l'agnizione del ricongiungimento e il mito del ritorno a casa, in War Horse erano affrontati in modo molto più spielberghiano di quanto non avvenga nello splendido, oscuro, ma anche inerme Lincoln. I due film funzionano nello stesso modo, ma in Lincoln Spielberg gioca a fare il cinema più alto, più mediato, nascondendo il personaggio storico dietro Day Lewis e invitando lo spettatore a scovare la verità del passato; provando a smitizzarne il mito pubblico con la quotidianità del privato, ma cedendo al fascino della scena madre; presagendo l'incontro con la morte e sottolineandolo retoricamente nello sguardo del servitore nero che sa, che capisce, che coglie i segni della Storia, e si prepara perciò a camminare nel mondo tutto solo, ma guidato dall'andatura sgraziata eppure saldissima del Presidente più grande di tutti.
Tutto questo è Spielberg allo stato puro, è la poetica inconfondibile di una grande regista: ma a differenza di War Horse, non è raccontata dal sogno, dal cinema classico, dai suoi colori e dai suoi sentimenti impudici, bensì dall'agiografica e dalla ricerca troppo consapevole del film secolare e scolpito nel marmo. Per quel che mi riguarda così è anche troppo.

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Dossier Paperblog

Magazines