Dobbiamo davvero essere grati al prestigioso sociologo americano Rodney Stark e dovremmo anche domandarci come mai tra tutti i ricercatori e studiosi cattolici usciti dalle decine di Università cattoliche ci troviamo oggi a ringraziare sopra tutti uno studioso che cattolico non è, ma ex agnostico e oggi vicino alla chiesa episcopale.
Chiunque voglia affrontare il ruolo della Chiesa cattolica nella storia, in particolare per le tematiche su cui è soventemente attaccata, non può prescindere dai libri Stark che è riuscito a contrastare egregiamente la storiografia anticlericale che ha dominato fino al secolo scorso (e lo ha fatto in modo attendibile, la bibliografia citata a fine libro arriva sempre a sfiorare le 50 pagine!).
Rispetto al colonialismo europeo, ad esempio (lo ha fatto notare Francesco Agnoli), ha fatto notare che le leggi schiaviste più umane erano quelle della Spagna e della Francia: questo a causa della influenza esercitata dalla Chiesa cattolica, in prima linea nel difendere la natura umana e di creature di Dio anche degli schiavi. «Il problema non era che la Chiesa non condannava la schiavitù, quanto piuttosto che erano in pochi ad ascoltarla» (“A gloria di Dio”, Lindau 2011), ha spiegato, osservando addirittura che nell’Inghilterra anglicana e nella Danimarca protestante si scatenarono spesso le ire e le persecuzioni nei confronti dei cattolici più coraggiosi nel difendere il diritto alla libertà.
In ogni caso abbiamo già affrontato la questione in uno specifico dossier su questo sito web, dove abbiamo anche citato la posizione dei più grandi studiosi in questo campo, come lo storico americano Eugene D. Genovese, fra i massimi esperti di schiavismo americano: «Il cattolicesimo», ha scritto quando ancora era un leader del marxismo, «ha impresso una profonda differenza nella vita degli schiavi. E’ riuscito a creare un’etica nuova ed autentica nella società schiavista americana, brasiliana e spagnola» ( E. Genovese, “Roll, Jordan, Roll: The World the Slaves Made”, 1974, pag. 179).
In questi giorni è tornato sul tema anche Franco Cardini, noto storico italiano e ordinario presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane (Sum), il quale ha spiegato: «sarebbe ingiusto negare che molti della Chiesa cattolica si siano piegati alle esigenze delle potenze colonialistiche e alla loro pratica di violenza e rapina. Resta tuttavia un fatto: nel mondo protestante non c’è nessun missionario che sia riuscito a combattere ingiustizia e violenza con lo stesso successo con cui l’hanno fatto i cattolici: e difatti nell’America settentrionale e Oceania si sono avuti sistematici genocidi su larga scala, messi in atto sopratutto da inglesi e olandesi, che non trovano riscontro nell’America meridionale dove stragi e razzìe di schiavi ebbero certamente luogo, ma dovettero fare i conti con apostoli che difesero i nativi a viso aperto, spesso accettando insieme a loro la persecuzione». E’ il caso del domenicano Bartolomé Las Casas che riuscì a convincere Carlo V a promulgare le “Nuevas Leyes”, «irreprensibile codice garantista nei confronti dei nativi, che resta un modello giuridico a testimonianza del senso di equità di un sovrano cattolico e che impedì molte sopraffazioni».
Ma la lotta contro il colonialismo, nel continente mesoamericano, continua ancora oggi. Purtroppo l’offensiva delle multinazionali neocolonialiste, ha spiegato Cardini, «si è andata sviluppando di pari passo alla campagna di sètte protestanti che, ad esempio in Guatemala, hanno quasi sradicato la Chiesa cattolica». La cronaca di oggi ci dice infatti che, ad esempio, il vescovo brasiliano Pedro Casaldaliga è stato obbligato a lasciare la sua residenza a causa delle minacce di morte ricevute per la sua difesa degli indios. In Honduras padre Candido Pineda è stato più volte minacciato per la sua attività in difesa degli indigeni e dei contadini poveri, ed è stato arrestato per questo dalla polizia. In Amazzonia i missionari cattolici stanno difendendo i nativi contro le multinazionali e le loro ruspe, padre Dario Bossi ha recentemente vinto contro il colosso minerario Vale, salvando i villaggi locali. E così via.
Non a caso la conclusione dell’articolo di Cardini è questa: «I tempi sono cambiati: ma nel continente americano la battaglia tra chi difende gli oppressi e chi sostiene gli oppressori continua. E i preti cattolici sono ancora in prima linea».