- Poliziotto allontana dei dimostranti dalla Pietra delle SolovetskyLa Russia sembra sempre alla ricerca della propria memoria, e continuamente si scontra a vario titolo con la “questione di Stalin”, ossia sul modo di ricordare quella parte così importante del passato recente rappresentato, più che dal settantennio sovietico, dai trent’anni dello stalinismo. L’ultimo episodio che fa discutere è di lunedì mattina, quando qualche centinaio di persone – riporta il giornale Noviye Izvestija – si sono radunate in piazza della Lubjanka, davanti alla famigerata sede dei servizi segreti e sul luogo dove dal 1991 sta il monumento alle vittime della repressione. Il raduno alla “Pietra delle Solovetsky” (un masso proveniente dalle isole del Mar Bianco dove venne aperto il primo campo di prigionia sovietico per detenuti politici, nel 1921) ha una cadenza annuale: e come ogni anno, la richiesta dei manifestanti è stata anche lunedì quella che lo Stato russo riconosca un risarcimento ai sopravvissuti del GULag e ai discendenti delle vittime – quelli che al tempo furono definiti “nemici del popolo”. Il che lo Stato puntualmente rifiuta di fare. Lunedì è anche intervenuta la polizia per sgomberare dalla pietra-monumento alcuni manifestanti più vivaci (in realtà esponenti dei gruppi protestatari antigovernativi come Altra Russia).
Per coloro che manifestano davanti alla Lubjanka la questione è molto semplice: “Se il governo non ci riconosce un risarcimento, significa che non ci considera delle vittime di un atto illegale, dunque che considera legitime le repressioni staliniane”, dicono. Da parte del governo non c’è mai stato però un rifiuto esplicito e motivato, ma solo un caparbio silenzio e generiche considerazioni sulla “non opportunità” di un passo del genere. Vero che ci sono questioni “tecniche” non semplici da risolvere, dalla determinazione dell’entità del danno e quindi del risarcimento all’individuazione degli aventi diritto: quanti sono? Un conto, fatto dall’Associazione Vittime della Repressione Politica, parla di 450.000 sopravvissuti (erano un milione nel 1995); ma gli eredi delle vittime? Comunque almeno un riconoscimento simbolico, di principio, avrebbe potuto essere fatto, e non lo è stato.
La questione infatti è molto delicata. In un paese dove non c’è mai stata alcuna cesura giudiziaria con il passato (come per esempio è avvenuto in Germania), dove cioè non sono mai stati fatti i conti con la propria storia, la frattura in seno alla società è molto forte e una larga parte della popolazione mantiene una memoria positiva non solo, com’è naturale, del periodo sovietico e delle conquiste sociali e materiali dell’Urss, ma anche del ruolo storico di Stalin e del suo regime. Non a caso, pur tra le polemiche, il nome e l’immagine di Stalin sono sempre più sfruttati a fini politici o persino commerciali anche da chi (per esempio l’ex sindaco di Mosca Yurij Luzhkov) non ha la benché minima vicinanza politica al dittatore georgiano. Sondaggi recenti parlano di quasi metà della popolazione maggiorenne che valuta in un modo o nell’altro positivamente Stalin (quasi tutti riferendosi in realtà alla guerra ’41-’45). Attribuire un indennizzo alle vittime della repressione, pur ormai definita ufficialmente “illegale”, significherebbe probabilmente provocare reazioni risentite da parte di coloro che hanno sofferto durante quel periodo per altri motivi ma egualmente lo considerano parte fondativa della storia e dell’identità nazionale.
Purtuttavia, il problema resta: e porta con sè varie conseguenze negative. In primis, anche se indirettamente, sul piano dei rapporti internazionali, dove il non tracciare nella ricostruzione del periodo stalinista una divisione tra i ruoli reciproci di vittime e di repressori finisce col dare del regime attuale un’immagine appiattita più del necessario sul passato sovietico, e accentua la contraddizione (quando non il conflitto esplicito) con i regimi dei paesi ex sovietici o dell’ex Patto di Varsavia: i quali, invece, della revisione storica (e dell’indennizzo a chi del “socialismo reale” è stato vittima o danneggiato) hanno fatto un pilastro fondativo.
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