Dopo “Cactus” e “Il maestro”, una nuova prova con la narrativa. Cosa significa per te raccontare?
Raccontare significa cercare un lettore e in lui un interlocutore allo scopo di stimolare una riflessione su vari temi che emergono dalla storia raccontata.
Di nuovo una storia in cui il caso giudiziario entra in modo improvviso nella vicenda umana e personale del protagonista. Un fenomeno che ricorre nelle tue opere. Perché?
Perchè le vicende giudiziarie sono per lo più fatti che irrompono nella vita degli uomini senza preavviso e condizionano in modo più o meno sensibile l’esistenza
“Testa o croce”, espressione popolare che è diventata il titolo del tuo libro. Senza anticipare niente del romanzo, ci spieghi la ragione della scelta?
E’ un modo di lasciare una decisione alla sorte, un tentativo di abdicare alla razionalità che segna l’esordio della storia, la accompagna nel suo svolgimento e si ritrova paradossalmente all’epilogo dove invece l’irrazionale non dovrebbe trovare cittadinanza.
Quanto la tua professione di magistrato è stata importante (o non lo è stata) nella stesura della storia?
Mi è utile nell’ambientare la vicenda e nel far vivere i personaggi in un contesto che conosco.
* Massimo Mannucci lavora alla Procura di Livorno dopo aver maturato significative esperienze professionali in Sicilia e in Campania. In “Testa o croce” la vicenda giudiziaria offre spunti di riflessione sull’importanza della prova scientifica sempre più spesso destinata a decidere i processi fino a condizionare il libero convincimento del giudice. Tutti i suoi libri sono ora disponibili anche nel formato ePub.