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Andamento lento e oscillante

Creato il 26 settembre 2021 da Annalife @Annalisa
Andamento lento oscillanteComunque lettura interessante

Poiché ho letto questo romanzo sull’e-reader, senza vedere copertina e titolo ogni volta che lo riprendevo in mano (questa cosa fa dimenticare molti libri letti, tra l’altro), allora, siccome l’ho letto sull’e-reader, a un certo punto, verso un terzo dall’inizio mi sono convinta di avere in mano uno degli scrittori scandinavi che ormai sono diventati di casa anche da noi. Gli ho anche dato un cognome preciso (cioè, ho pensato: mi sa che sto leggendo un libro di Indriðason, o forse di quell’altro, di cui adesso non ricordo nemmeno il nome), anche se all’inizio ero convinta di aver preso in mano un libro di Jo Nesbø.

Tutto questo per dire che, a mano a mano che leggevo e mi inoltravo tra i pensieri del protagonista, nel lento, lentissimo svolgersi dei fatti, mi sono allontanata da Nesbø, dai suoi classicissimi di Harry Hole, dalla crudezza, dalla passione, dal noir oscuro cui mi ero abituata.

E invece, anche questo è un Jo Nesbø, un fuori serie in cui “il fratello” del titolo non ha una connotazione precisa, perché i fratelli in realtà sono due: il maggiore, voce narrante, che si rivela a poco a poco e che spesso lascia spazio al minore, che seguiamo nella crescita e nella maturità (ma forse non nella maturazione…). Così, lasciate da parte le aspettative e il tagliente Harry, ci si può immergere in una storia insolita, cruda e nera, che si rivela tale con la stessa lentezza con cui, dopo un inizio crudo e duro, procedono le vicende apparentemente banali dei due protagonisti.

Lasciato da parte anche il thriller classico, la tensione narrativa si regge tutta sul contrasto tra lo scorrere della vita in questo paesino così lontano dall’immagine che potremmo esserci costruita in precedenza sulla Norvegia, e le mezze frasi, i ricordi buttati lì e lasciati a fermentare la nostra curiosità: si va avanti, spesso, solo per curiosità, per vedere come andrà a finire, che cosa vuole dirci l’autore in questo racconto dove pare non succedere niente al di là di ripicche, pettegolezzi, piccoli tradimenti, ricordi di morti che sembrano semplicemente fare parte del circo della vita e non suggeriscono certo chissà quali intrighi. In tutto questo, grande parte della storia si regge sui pensieri, i ragionamenti, le esitazioni e i cambi di passo dei due protagonisti, e, soprattutto, sul legame tra loro.

Il legame fraterno si rivela forte, fortissimo, adatto a superare ogni sorta di ostacoli che si presentano sul loro cammino, e analizzato con puntiglio, con un’accumulazione di particolari, segreti, ricordi che, se a volte appare ripetitiva, diventa anche il modo con cui l’autore ci costringe ad affezionarci ai protagonisti, e in particolare (per quanto mi riguarda) al maggiore, a Roy, poco socievole, silenzioso, solitario, ma, nel corso della storia, capace anche di slanci passionali e di scelte difficili.

Carl risulta invece più accattivante, più capace per certi versi e più fragile per altri, ma meno simpatico, sempre difeso da Roy per quanto possibile, tranne forse nella situazione più terribile che si trova ad affrontare.

Di fronte a questi due personaggi, a Roy che progressivamente giganteggia e si prende tutto lo spazio della storia; a Carl che risulta essere necessario per far muovere le cose e precipitarle verso il terribile finale; di fronte a loro due gli altri protagonisti scompaiono quasi del tutto: tolta Shannon, che interviene a storia iniziata e diventa quasi subito una pedina importante della vicenda principale (ma sempre pedina), molti degli altri sono figure necessarie ma sbiadite, a volte anche un po’ macchiettistiche. È, ad esempio, quello che succede con l’agente rurale, ostinatamente indirizzato su una certa pista e periodicamente ridicolizzato o stroncato nel suo indagare; è quello che succede con la parrucchiera pettegola e intrigante, che somiglia più a una zanzara insistente e, da potenziale malevola perfida, si scioglie in una figurante inutile.

Compare a tratti, nei ricordi, lo zio Bernard, bel personaggio che fa onestamente il suo lavoro apparendo di tanto in tanto, coerente e di esempio per i due ragazzi; buone anche le comparsate di Julie, che sbuca ogni tanto e cresce in modo credibile via via che procede la storia; padre e madre di Carl e Roy sono figure marginali per il loro peso nelle pagine della storia, ma fondamentali per muovere tutti gli aspetti torbidi di una storia dove i legami famigliari diventano sempre più cupi e morbosi.

Altri personaggi appaiono e scompaiono, molti non del tutto credibili, o troppo spenti o troppo sopra le righe, ma alla fine quello che ti tiene incollato alla lettura è il desiderio di capire che cosa è successo prima per far diventare i protagonisti quello che sono, e quello che sta succedendo o succederà mentre la storia procede tra alti e bassi, ripetizioni di situazioni (che è meglio non rivelare) un po’ forzate, colpi di scena, lunghi ragionamenti  o soliloqui, circostanze a volte noiose, a volte disturbanti, con i fratelli che spesso ci trascinano dalla loro parte da tanto li sentiamo veri, e una trama che invece forza un po’ troppo la nostra credulità e appare a volte poco realistica.

Il finale, poi, se è un colpo di scena preparato con cura da particolari seminati al momento giusto, è anche un po’ “troppo” colpo di scena, ci lascia alla fine con un nulla di fatto (quasi un cliffhanger per un secondo improbabile capitolo) ma chiude comunque un racconto introspettivo ricco di temi importanti e non facili da trattare.

Da notare, oltre a qualche trascuratezza di editing (“L’inaffondabile Titanic era colato a piccolo” ne è un buon esempio), alcune osservazioni molto belle, come quella sulla bellezza: “La scultura greca parzialmente distrutta è tanto più bella perché dalle parti integre vediamo quanto sarebbe, avrebbe dovuto essere [magari: sarebbe dovuta essere], è stata bella. E allora con l’immaginazione aggiungiamo una bellezza con cui la realtà non ha mai potuto competere“.

Il fratello, di Jo Nesbø, Einaudi, 2020, pgg 648, euro 22


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