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Andar per mummie: Venzone #2

Creato il 23 ottobre 2014 da Salone Del Lutto @salonedellutto

Nella scorsa puntata abbiamo lasciato il povero Marcolini ad arrovellarsi sulle cause che determinarono la mummificazione spontanea di tanti cadaveri in quel di Venzone. Ma, a parte lui, cosa ne pensavano gli altri? Che accoglienza avrà riservato la gente alle nostre belle mummiette?

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Quale che ne fosse l’origine, le mummie di Venzone portavano comunque in sé qualcosa di “magico”. La chiesa non pubblicizzò mai troppo questo fenomeno, eppure la fama del “Gobbo” e degli altri corpi custoditi a Venzone valicò i confini locali e, a partire dalla prima metà dell’Ottocento, esse iniziarono a essere conosciute in tutta Europa. Nel 1807, impegnato in una serie di azioni militari in Friuli, lo stesso Napoleone Bonaparte volle vederle personalmente e in quell’occasione i militari francesi amputarono parzialmente “il Gobbo” dei genitali, probabilmente a uso apotropaico. Altri capi di stato colpiti dalla loro vicenda furono Francesco d’Austria, che le visitò nel 1819, e Ferdinando I, che andò ad ammirarle nel 1848. Furono in molti anche gli scienziati che si appassionarono all’argomento, cercando di spiegare le cause di questo fenomeno[1]. E, proprio per rendere più agevoli le ricerche e soddisfare la curiosità della comunità scientifica, iniziò anche una delicata fase di trasferimenti di corpi mummificati fuori dalla cittadina di Venzone: alcune finirono al gabinetto autoptico di Padova, una alla chiesa Saint-Louis des Invalides a Parigi, altre ancora furono esposte in un museo di Vienna. Quelle che restavano a Venzone, invece, venivano traslate dal duomo all’antistante cappella di San Michele, dove però le condizioni di eccessiva umidità non consentivano una buona conservazione dei corpi. E fu proprio il Marcolini a stimolare una riflessione in tal senso e a proporre nel suo trattato Sulle mummie un progetto conservativo[2]. Nella stessa cappella di San Michele fu pertanto adattato un ambiente apposito, una sala superiore che possedeva caratteristiche climatiche più salubri rispetto alla precedente sistemazione.

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La presenza delle mummie non lasciò indifferente neppure la popolazione della cittadina che, più che appellarsi a una spiegazione scientifica piuttosto che a un’altra, ricorreva piuttosto a una spiegazione irrazionale, interpretando la mummificazione come originata da un qualche fenomeno miracoloso o paranormale. Forse, le mummie si predisponevano in modo differente dagli altri cadaveri all’attesa del giudizio universale; forse l’integrità di questi corpi erano il segno della condotta impeccabile, in vita, degli individui che avevano subìto questa particolare trasformazione; oppure, al contrario, si poteva essere indotti a pensare che questo mutamento colpisse i peccatori e gli scomunicati, il cui stato doveva essere di monito ai vivi. Intorno a un prodigio come la mummificazione potevano insorgere e coesistere credenze di segno opposto. Nel caso di Venzone, la chiesa locale riuscì comunque a governare bene la convivenza dei cittadini con questo mistero e a instillare nei cittadini l’opinione che i corpi mummificassero per un prodigio divino che rendeva in qualche modo merito allo status dei notabili sepolti nel duomo[3].

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Più che esprimere forme di devozione o di condanna nei confronti delle loro mummie, si può pensare che i venzonesi convissero tranquillamente con questo prodigio e anzi addirittura ignorarono il destino cui andarono incontro molti dei corpi recuperati integri nelle tombe del duomo. Perlopiù non vennero a conoscenza delle loro diverse vicissitudini: nel 1834, anche per impulso dell’interesse di Marcolini e della comunità scientifica, le mummie scoperte erano trentaquattro; nel 1930, in seguito anche ai trasferimenti cui si è accennato in precedenza, il numero delle mummie custodite a Venzone si era ridotto a ventidue. In seguito al terremoto del 1976 ne “sopravvissero” soltanto quindici, cinque delle quali, dopo essere state sottoposte a un intervento conservativo sono attualmente esposte in posizione eretta, in teche di legno e vetro ubicate nella cappella di San Michele. Non hanno decori né ornamenti, solo semplici gonnelle bianche che ne ricoprono i genitali. La loro danza macabra è un’indubbia attrattiva turistica.

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Come ulteriore elemento macabro si segnala che, nel 1950, il fotografo americano Jack Birns, corrispondente per la rivista Life, realizzò a Venzone un servizio fotografico in cui accostò i vivi e i morti, ossia il prete e gli anziani abitanti del paese e le mummie, vestite proprio come sono ora, con un semplice gonnellino bianco, come se si trattasse di perturbanti mascotte. Le immagini rappresentano gruppi o coppie e sono state realizzate nel piccolo prato antistante alla cappella di San Michele o sui gradini che conducono al suo interno. Anche con una certa qual ironia – mi riferisco allo scatto del prete del paese che finge bonariamente di rimproverare una mummia –, rendono proprio quel tipo di convivenza serena che nel paese friulano doveva essersi instaurata fra i vivi e i morti, che probabilmente non erano venerati, ma certamente non dovevano produrre reazioni di terrore o diffidenza nei propri concittadini.

di Silvia Ceriani
Questo articolo è parte dell’intervento Questo è il mio corpo. Mummie e scheletri di santi canonici e di santi del popolo pubblicato sul volume Memento Mori. Il genere macabro in Europa dal Medioevo ad oggi. Atti del convegno internazionale, Torino, 16-18 ottobre 2014 pp. 121-138.

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Note
[1] E. Miniati, Ivi, p. 67, riporta, tra le altre le opinioni di chi si appellava alla composizione di elementi chimici presenti in alcune zone del terreno sottostante alla chiesa, o di una teoria che avvalorava una specifica combinazione fisico-chimica in cui rientravano idrogeno, carbonato e fosfato.
[2] Cfr. F.M. Marcolini, Ivi, p. 122-126.
[3] Cfr. E. Miniati, Ivi, p. 71.


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