Nella scorsa puntata abbiamo lasciato il povero Marcolini ad arrovellarsi sulle cause che determinarono la mummificazione spontanea di tanti cadaveri in quel di Venzone. Ma, a parte lui, cosa ne pensavano gli altri? Che accoglienza avrà riservato la gente alle nostre belle mummiette?
Quale che ne fosse l’origine, le mummie di Venzone portavano comunque in sé qualcosa di “magico”. La chiesa non pubblicizzò mai troppo questo fenomeno, eppure la fama del “Gobbo” e degli altri corpi custoditi a Venzone valicò i confini locali e, a partire dalla prima metà dell’Ottocento, esse iniziarono a essere conosciute in tutta Europa. Nel 1807, impegnato in una serie di azioni militari in Friuli, lo stesso Napoleone Bonaparte volle vederle personalmente e in quell’occasione i militari francesi amputarono parzialmente “il Gobbo” dei genitali, probabilmente a uso apotropaico. Altri capi di stato colpiti dalla loro vicenda furono Francesco d’Austria, che le visitò nel 1819, e Ferdinando I, che andò ad ammirarle nel 1848. Furono in molti anche gli scienziati che si appassionarono all’argomento, cercando di spiegare le cause di questo fenomeno[1]. E, proprio per rendere più agevoli le ricerche e soddisfare la curiosità della comunità scientifica, iniziò anche una delicata fase di trasferimenti di corpi mummificati fuori dalla cittadina di Venzone: alcune finirono al gabinetto autoptico di Padova, una alla chiesa Saint-Louis des Invalides a Parigi, altre ancora furono esposte in un museo di Vienna. Quelle che restavano a Venzone, invece, venivano traslate dal duomo all’antistante cappella di San Michele, dove però le condizioni di eccessiva umidità non consentivano una buona conservazione dei corpi. E fu proprio il Marcolini a stimolare una riflessione in tal senso e a proporre nel suo trattato Sulle mummie un progetto conservativo[2]. Nella stessa cappella di San Michele fu pertanto adattato un ambiente apposito, una sala superiore che possedeva caratteristiche climatiche più salubri rispetto alla precedente sistemazione.
La presenza delle mummie non lasciò indifferente neppure la popolazione della cittadina che, più che appellarsi a una spiegazione scientifica piuttosto che a un’altra, ricorreva piuttosto a una spiegazione irrazionale, interpretando la mummificazione come originata da un qualche fenomeno miracoloso o paranormale. Forse, le mummie si predisponevano in modo differente dagli altri cadaveri all’attesa del giudizio universale; forse l’integrità di questi corpi erano il segno della condotta impeccabile, in vita, degli individui che avevano subìto questa particolare trasformazione; oppure, al contrario, si poteva essere indotti a pensare che questo mutamento colpisse i peccatori e gli scomunicati, il cui stato doveva essere di monito ai vivi. Intorno a un prodigio come la mummificazione potevano insorgere e coesistere credenze di segno opposto. Nel caso di Venzone, la chiesa locale riuscì comunque a governare bene la convivenza dei cittadini con questo mistero e a instillare nei cittadini l’opinione che i corpi mummificassero per un prodigio divino che rendeva in qualche modo merito allo status dei notabili sepolti nel duomo[3].
Più che esprimere forme di devozione o di condanna nei confronti delle loro mummie, si può pensare che i venzonesi convissero tranquillamente con questo prodigio e anzi addirittura ignorarono il destino cui andarono incontro molti dei corpi recuperati integri nelle tombe del duomo. Perlopiù non vennero a conoscenza delle loro diverse vicissitudini: nel 1834, anche per impulso dell’interesse di Marcolini e della comunità scientifica, le mummie scoperte erano trentaquattro; nel 1930, in seguito anche ai trasferimenti cui si è accennato in precedenza, il numero delle mummie custodite a Venzone si era ridotto a ventidue. In seguito al terremoto del 1976 ne “sopravvissero” soltanto quindici, cinque delle quali, dopo essere state sottoposte a un intervento conservativo sono attualmente esposte in posizione eretta, in teche di legno e vetro ubicate nella cappella di San Michele. Non hanno decori né ornamenti, solo semplici gonnelle bianche che ne ricoprono i genitali. La loro danza macabra è un’indubbia attrattiva turistica.
Come ulteriore elemento macabro si segnala che, nel 1950, il fotografo americano Jack Birns, corrispondente per la rivista Life, realizzò a Venzone un servizio fotografico in cui accostò i vivi e i morti, ossia il prete e gli anziani abitanti del paese e le mummie, vestite proprio come sono ora, con un semplice gonnellino bianco, come se si trattasse di perturbanti mascotte. Le immagini rappresentano gruppi o coppie e sono state realizzate nel piccolo prato antistante alla cappella di San Michele o sui gradini che conducono al suo interno. Anche con una certa qual ironia – mi riferisco allo scatto del prete del paese che finge bonariamente di rimproverare una mummia –, rendono proprio quel tipo di convivenza serena che nel paese friulano doveva essersi instaurata fra i vivi e i morti, che probabilmente non erano venerati, ma certamente non dovevano produrre reazioni di terrore o diffidenza nei propri concittadini.
di Silvia Ceriani
Questo articolo è parte dell’intervento Questo è il mio corpo. Mummie e scheletri di santi canonici e di santi del popolo pubblicato sul volume Memento Mori. Il genere macabro in Europa dal Medioevo ad oggi. Atti del convegno internazionale, Torino, 16-18 ottobre 2014 pp. 121-138.
Note
[1] E. Miniati, Ivi, p. 67, riporta, tra le altre le opinioni di chi si appellava alla composizione di elementi chimici presenti in alcune zone del terreno sottostante alla chiesa, o di una teoria che avvalorava una specifica combinazione fisico-chimica in cui rientravano idrogeno, carbonato e fosfato.
[2] Cfr. F.M. Marcolini, Ivi, p. 122-126.
[3] Cfr. E. Miniati, Ivi, p. 71.