Published on novembre 19th, 2014 | by radiobattente
0L’eterno scontro tra “vecchi e giovani” trova sfogo nell’ultima, esilarante, commedia firmata Ficarra e Picone. Rocambolesche le avventure dei due palermitani che ancora una volta invocano il loro canto alla terra madre.
È una Sicilia paesana, quella raccontata nel film, una Sicilia che almeno morfologicamente non si discosta troppo da quella tratteggiata da Camilleri per il suo Montalbano. Ovviamente qui domina la verve comica, che non si accontenta di farci ridere, ma che spesso ci costringe piuttosto a sorridere amaramente. Quel paese cui allude significativamente il titolo della pellicola è Monforte, località dell’entroterra siciliano eletta qui quale terra privilegiata di un racconto che, partendo dalle origini, ci porta in realtà molto lontano.
Quel paese, lungi dal rappresentare la meta di quanti vengono insultati, è in realtà un luogo in cui il tempo sembra essersi fermato in una dimensione arcaica, in cui la vita è scandita dalle chiacchiere al bar, dalle litanie delle messe e dal pettegolezzo che nasce agli angoli di quartiere. Un inedito finale suggellerà le storie che si dipanano lungo lo strabiliante intreccio ordito da Salvo e Valentino, i due “nati stanchi” che, ai loro esordi cinematografici, evitavano accuratamente di mettere la testa a posto e che invece adesso, al loro quinto film, pur di mettere la testa a posto inventano un mestiere paradossale. Il lieto fine è d’obbligo e, del resto, rassicurante, per chi dal cinema si aspetta novanta minuti di svago.
Anche se, in verità, si tratta di un finale solo apparentemente lieto, reso piuttosto amaro dalla muta richiesta d’aiuto (e di raccomandazione) che i due protagonisti, perennemente disoccupati, rivolgono nella chiusa del film a una bara. Picone, inedito dongiovanni del paese, sarà costretto dagli eventi (e da Ficarra) alle nozze con un’arzilla e insospettabilmente tormentata settantenne. Ficarra dal suo canto riuscirà a coinvolgere la moglie e lo stesso Picone nella folle impresa di servirsi di un gruppo di anziani per racimolare denaro.
La crisi diviene lo spunto comico di uno scenario in cui l’unica prospettiva di futuro è confinata al passato. Un film letteralmente corale, in cui viene comunque marcata la distinzione tra il costo e il valore della vita. Ospite d’eccezione Lello Analfino, voce dei Tinturia, qui in veste di un arrampicatore sociale che canta alla finestra di donne non più giovani. “Andiamo a quel paese” si interroga sul senso profondo di valori apparentemente e almeno inizialmente sovvertiti. È un film che si nutre di stereotipi per distruggerli, che intenerisce e indispone, che si fa forte delle debolezze umane per farci sorridere ma anche riflettere.
È una tragicommedia, l’ultima di Ficarra e Picone, che parla di arrivi e di partenze, ma anche di una maturità che trascende l’età anagrafica. È, infatti, una commedia per adulti che trova il suo personaggio più maturo in una bambina. Sarà infatti Adele, figlia cinematografica di Ficarra, a dettare una morale a quegli adulti che ogni sera le raccontano una favola prima di andare a dormire. I due protagonisti capiranno infatti a loro spese quanto verrà espresso dalla bambina nelle battute finali della pellicola e cioè che “le cose sono vecchie, le persone sono anziane”.
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