L'ultimo film del finlandese Aki Kaurismaki , "Miracolo a Le Havre", è una straordinaria fiaba ,che di questi tempi riscalda il cuore e dovrebbe far sperare in bene.
E', come tutte le storie a lieto fine, un invito mirato alla solidarietà autentica quella che, in ogni epoca, resta sempre e comunque, checché se ne pensi, un valore.
Anche quando tutto sembrerebbe sconfessarlo.
E questo sconfessarlo altro non sarebbe poi che la povertà voluta e messa in piedi dai potenti della terra, all'interno di una società neoliberista ormai senza classi ,come è la nostra, per coloro che non fanno e non faranno mai "storia".
Gli ultimi della terra insomma. Immigrati compresi.
L'immigrazione, infatti, per Kaurismaki, o meglio le leggi che la riguardano fatte dai politici di turno in quale che sia il Paese, sono dei veri crimini perpetrati ai danni di chi, disperato, non è in grado poi di potersi difendere.
Il contesto della narrazione è quello di un mondo fatto di gente molto semplice, che vive con pochissimo al limite della povertà, in un quartiere popolare nei pressi del porto di LeHavre, ma che si rivela straordinariamente generoso e ricco di umanità.
Accanto alla vicenda personale del protagonista, l'anziano lustrascarpe Marcel Marx e di sua moglie Arletty, che si ammala di un tumore che pare inguaribile, si affianca casualmente la storia di Idrissa, un adolescente del Gabon, immigrato clandestino, che è arrivato lì perché vuole raggiungere sua madre a Londra.
Mentre la moglie di Marcel è in ospedale ed è piuttosto scoraggiata per le sue precarie condizioni di salute,Idrissa che ha trovato casa e protezione da Marcel, per sfuggire alla polizia, viene aiutato un po' da tutti gli abitanti del quartiere.
La fornaia, il fruttivendolo, la barista, tutti danno una mano al ragazzo. E lo fa anche un poliziotto, che ha sì i suoi sospetti, ma volge volutamente altrove il suo sguardo.
E, siccome tutto è bene quel che finisce bene, Arletty tornerà a casa dal marito e Idrissa riuscirà a partire per Londra.
Detta così la conclusione della storia di "Miracolo a Le Havre" potrebbe apparire quanto meno banale o comunque piuttosto irreale.
Invece il cinema di Kaurismaki ,mai scontato, è semplicemente vera poesia tanto nel linguaggio filmico quanto nei contenuti e nel messaggio finale.
Questa insomma è la cifra del regista finlandese e, per saperla cogliere sul serio, occorre avere l'umiltà di mettersi in ascolto proprio come dinanzi ad un testo poetico.
Perché l'ascolto non è mai imposto. I toni della narrazione sono pacatissimi e le immagini delicate e raffinate al tempo stesso.
Niente 3D, niente effetti speciali, niente violenza o gag e battute.
L'indignazione per un mondo ,che non è come dovrebbe essere, c'è ma tutto è raccontato con grande tenerezza.
Quella stessa tenerezza ,che anima sempre il dire e il fare dei diversi personaggi.
Compresi quelli che, per ruolo, dovrebbero essere burberi. Vedi, ad esempio, il poliziotto che finge di non essersi accorto che Marcel protegge un clandestino.
I critici hanno paragonato i lavori di Aki Kaurismaki, non solo quest'ultimo, al cinema di Marcel Carné e alla poesia di Jacques Prevert. E non si sono sbagliati affatto.
Lotta per cambiare in meglio uomini e cose e solidarietà sono per Kaurismaki le componenti di una rivoluzione quotidiana, fatta di piccoli passi ma possibili.
Il suo messaggio in definitiva è che, solo se noi cambiamo dal di dentro, il mondo fuori di noi può cambiare.
Solo se mettiamo al bando gli egoismi, le false credenze, i preconcetti e sopratutto la voglia di sopraffare l'altro,accontentandoci del molto o del poco che abbiamo, l'umanità potrà acquistare in valore aggiunto e si realizzerà l'armonia.
E' troppo pensarlo e sperarlo?
Lui, Kaurismaki, ci prova e ce lo propone con le sue "storie".
Anche perché, a suo avviso, la visione del "bene" per contagio genera altro bene.
E la bontà, in fin dei conti, non è mai abbastanza.
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)