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Con “Andrai e tornerai” Umberto Castagna esce dalla lunga consuetudine con gli archivi, che ne ha fatto un esperto agiografo. Ancora oggi la sua penna è richiesta. Ma, per la prima volta - superando con molto coraggio ogni antica reticenza - scrive della sua esperienza personale, e si addentra nelle anse della sua crisi esistenziale e nella ricostruzione del lungo travaglio che lo portò alla rinunzia di una vita e di un ministero che non ha mai smesso di amare. Ne è nato questo libro, che non è una denunzia: è una testimonianza. E’ un racconto di quanto gli avvenne, di quanti dirupi e sentieri accidentati percorse in quegli anni col cuore in gola a ritroso nella sua vita (ecco il perché del titolo) per capire, per non commettere altri errori, per fare pace con se stesso. Con l’aiuto di una spietata analisi del profondo, si mise a sviscerare inesorabilmente la propria storia, alla ricerca delle radici della vocazione alla vita religiosa e dei motivi autentici che lo avevano portato tra le mura di un convento. La scoperta di un cumulo di macerie - la distruzione della sua casa e la tragica morte del padre - gli apparve allora finalmente il fondamento fallace della sua vocazione e quindi la fonte riconoscibile dell’angoscia e del disordine della vita. Ma uscirne fu così doloroso da condurlo sulle soglie del suicidio. “Guarisci presto, Umberto. Torna da me”, gli scriveva Nella, la donna apparsa nella sua vita, mentre l’analisi lo rivelava a se stesso e lui si chiedeva:”Guarire da una vocazione? Si può? È lecito? Io ho amato questa vita che mi stava distruggendo…”. Altri religiosi e sacerdoti, costretti da motivi diversi ad abbandonare la scelta fatta in gioventù, letto il libro, hanno riconosciuto nella lucida narrazione del suo amaro percorso quello fatto anche da loro, percorso ignorato, o esposto al sarcasmo di un giudizio ingeneroso e superficiale. Certamente, “Andrai e tornerai” contiene problematiche che possono essere sollevate, ma lo scopo per il quale è stato scritto non è quello di provocarle. E’ un racconto schietto e senza sottintesi, quasi un romanzo. E la penna consumata di Umberto Castagna ne rende la lettura affascinante e coinvolgente.
ECCO UN ASSAGGIO:
Rondini. Nelle sere di primavera imparai ad amare la loro presenza aerea. Il cielo scolorava, il crepuscolo era ancora lontano, ed apparivano. Avevo sette anni, abitavamo in un appartamento al quarto piano sulla collina del Vomero, la nostra casa era il mio mondo, il balcone della sala da pranzo la mia terrazza sulla vita. Si lanciavano in stormi immensi da destra e da sinistra, garrendo, le rondini. Partivano da chi sa dove, le vedevo arrivare in schiere apparentemente disordinate in alto nel cielo, oscurandolo parzialmente. Lassù componevano geometrie sempre diverse e di certo preordinate da un istinto nativo, si tuffavano verso le case (no, verso di me, capite? verso di me!) da altezze che mi apparivano enormi, riempivano la mia anima di bambino di grida gioiose, ripartivano. Ripartivano verso l’alto e verso sinistra, le vedevo veleggiare verso la cupola della chiesa di san Gennaro, circondarla di nuove figure, danzando, e poi lanciarsi a disegnare contro l’azzurro del cielo forme complesse e rigorose, cantando di gioia. Quanto mi hanno donato, quanto hanno contribuito ad impastare la mia anima di amore per la vita, di gusto per la bellezza, di ammirazione per la natura, quei voli di rondini? Sono così vivi dentro di me i loro garriti che, se lo voglio, posso, anche senza chiudere gli occhi, senza immergermi nel passato, sentirli ancora. Porto nella mia anima i voli di rondini che s’intrecciavano su di me e sulla mia casa settant’anni fa.
E voi, le conoscete? No, forse no, forse non avete mai avuto l’esperienza di un volo di rondini, la città le ha cacciate, forse le ha uccise. E voi forse avete perduto una delle più umili e inebrianti conoscenze del mondo.
I loro voli furono invece tra le prime impressioni che si stamparono dentro di me, al mio arrivo, in quel lontano maggio del 1937 quando papà portò a Napoli la nostra famiglia, e io non avevo ancora compiuto sette anni. Era maggio, le rondini avevano ripreso i loro voli primaverili e mi accolsero tra di loro. Mi accettarono. Credo che avessero i nidi tra i rami degli alberi di via Scarlatti, di via Cimarosa e - più sicuramente - della Floridiana. Erano troppe per non aver bisogno di decine di alberi e di migliaia di rami. Mentalmente le conto. Pensate: oltre settant’anni dopo sono in grado di rivederle. Però non posso contarle davvero, non avrei potuto farlo neppure allora, ma erano centinaia. Forse erano diversi stormi, che andavano, venivano, creavano le loro perfette geometrie celesti, nere com’erano contro il cielo, perfetto anch’esso nel suo azzurro struggente, e imprimevano nella mia anima un’indelebile immagine di bellezza.
Sito web www.umbertocastagna.it
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