Sono le sette, fuori fa freddo e il cielo è limpido. La prima luce del mattino illumina le montagne innevate all’orizzonte. Il fumo che esce timido dai camini delle case si mischia a quel luccichio roseo lontano. Ci sarà il sole oggi sulle colline.
Giovanni Ellena è seduto sul divanetto della hall dell’albergo con il pc sulle gambe. Ha già fatto colazione e metà dei suoi ragazzi sono a Torino per le visite mediche. Gli altri si preparano per una giornata di quasi normale amministrazione. Tra i tavoli della sala ristorante c’è un viavai di caffè e cappuccini. Emanuele Sella si siede davanti a Serghei Tvectcov che sta finendo la sua colazione all’americana. Ordina un caffè doppio e Serghei che è ansioso di imparare l’italiano gli chiede cosa vuol dire.
“Sono due caffè al posto di uno” risponde Lele, sorridendo. “Oggi ci vuole!”
Si dicono che fa freddo e parlano dell’America. Con le gare si comincia sempre più presto. Se il Tour di San Luis apre la stagione, i ragazzi dell’Androni, ancora non si sa quali, cominceranno la trasferta oltreoceano prima, con una gara in Venezuela. Il Venezuela, sì. Una terra bella e piena di contrasti che Gianni Savio conosce bene, come molti luoghi del Sudamerica. Una scoperta, quella dell’America, che deriva sempre da quell’idea di evolversi assieme al mondo. E il ciclismo è in continuo movimento, sempre più paesi hanno bisogno di qualcuno che aiuti i loro talenti a crescere in Europa. Perché è sempre quello il fulcro, il cuore pulsante. Le Classiche del Nord, il Giro d’Italia, il Tour de France. Si cresce tra i grandi, imparando a confrontarsi, imparando le lezioni, di vita e di bicicletta.
Nel 1985 Gianni comincia un corso di Team Manager da Italo Allodi, che tra gli anni ’50 e ’70 era stato dirigente sportivo dell’Inter e della Juventus. Appena ricevuta la licenza ha la possibilità di lavorare assieme a Bruno Reverberi nella Santini – Selle Italia. Ecco perché Gianni si emoziona quando fa notare che l’anno prossimo, i suoi ragazzi useranno quelle selle: è un po’ come tornare alle origini, un tuffo nel passato con un marchio che l’ha accompagnato per molto tempo.
Ad ogni modo, in quella squadra che aveva biciclette Conti con freni rigorosamente Galli, militarono Lucien Van Impe, Davide Cassani e Daniele Caroli con cui vinsero la Milano-Torino. Poi, nel 1988, Gianni passa alla Isoglass e nel 1989 si innamora dell’America: il Venezuela, la Colombia. Lancia Leonardo Sierra in Italia e diventa Commissario Tecnico della Nazionale Colombiana. Quando diventa dirigente della Nazionale Venezuelana, il rapporto con l’America Latina si fa ancora più forte, più intenso. Porta tantissimi giovani in Italia e li lancia nel mondo del professionismo. Si può dire che la storia più recente dell’Androni- Venezuela comincia nel 1996 con la Glacial Selle Italia che poi diventerà Serramenti Diquigiovanni. La svolta è segnata dall’arrivo di Mario Androni, oramai da anni fedele sostenitore, e dall’appoggio del governo venezuelano. E’ così che prende forma il team di oggi, una storia attraverso gli anni e i ragazzi che hanno corso sotto l’occhio attento e sensibile di Gianni Savio, il Principe.
E’ lui stesso che spiega una delle carte vincenti: un pool di sponsor che hanno fiducia nel lavoro della squadra e seguono il progetto in maniera appassionata. La passione è una garanzia, sempre. Perché quando è sincera non si spegne. Uno di questi, per esempio, è Tarcisio Persegona (Tre Colli) che ho visto al Campionato Italiano, a giugno, mentre stringeva la mano a Nicola Testi, uno dei suoi corridori che si erano ritirati. Allora non sapevo chi fosse ma mi aveva colpito il modo in cui parlava al ragazzo, il tono di un tifoso autentico, desideroso di incoraggiare. Un entusiasmo fatto di quei gesti che si capiscono subito, anche stando lontani, anche senza conoscere i nomi e le situazioni. Assieme a lui, la Sidermec di Pino Buda o la Regolo di Stefano di Saverio e tanti altri che affiancano la squadra. Per fiducia, un motore potente nello sport ma soprattutto nel ciclismo, dove tutto è sempre in bilico, proprio come sulle biciclette.
Biciclette che i meccanici stanno già preparando per l’uscita di questa mattina. Simone Stortoni sta ancora spalmando la marmellata sulle sue fette biscottate ma qualcuno è già salito a vestirsi per l’allenamento. Poco dopo, infatti, la hall si anima col rumore dei tacchetti degli scarpini. Tutti si infilano i guanti, gli scalda collo. Qualcuno ha ancora addosso la divisa della sua vecchia squadra perché il contratto scade rigorosamente a fine anno ma a fare gruppo hanno già cominciato. Da subito.
Giovanni Ellena dà qualche dritta per il percorso, lui è nato qui e queste sono le strade di casa sua. Anche per lui la squadra è una famiglia, nonostante gli alti e bassi che si incontrano quando si sceglie di intraprendere un mestiere per passione prima di tutto il resto. E’ stato ciclista anche lui, lo chiamavano Il Poeta, e adesso è una figura sensibile e discreta che vuole bene ai suoi ragazzi, li incoraggia e li rimprovera quando è giusto.
Ma questa è ancora un’altra storia, che nasce e si snoda tra l’ammiraglia e la strada. E’ il filo invisibile eppure fondamentale che si crea tra i ciclisti che pedalano e il loro direttore sportivo. Anche qui, a volte, basta un’occhiata per dirsi tutto. Nel ciclismo non sono mai servite troppe parole. Poche, magari, ma giuste. Vere soprattutto. Perché questo è uno sport dove la fatica smaschera tutto e quando sei in bicicletta vengono a galla solo le cose autentiche.