Nell’aria c’è profumo di caffè e due tavolini sono invasi dai caschi, dagli occhiali, dai guanti. I ragazzi hanno voluto fermarsi al bar per la pausa di rito. Le tazzine si svuotano subito e tutti tirano fuori i cellulari, scherzano tra di loro, Emanuele Sella fa vedere una foto ad Alessio Taliani che è seduto davanti a lui, ridono.
E’ la solita quotidianità dei ritiri, degli allenamenti. Eppure ha qualcosa di speciale, proprio perché loro hanno addosso la divisa, hanno le scarpe con i tacchetti che sul pavimento di piastrelle del locale fanno rumore. E’ la loro vita, così simile e così diversa dalla nostra. Pedalare, fermarsi un po’ e pedalare ancora. Fino a un traguardo e anche dopo. Sempre. Dopo una vittoria, nuovi obiettivi. Dopo ogni arrivo raggiunto, nuovi sacrifici.
Più tardi, di nuovo in ammiraglia, arriva una chiamata di Gianni Savio. Vuole sapere a che ora giungeranno i ragazzi per pranzare con loro. Giovanni gli dice che all’una meno un quarto saranno lì. Un’altra oretta in bici per le strade del Canavese, sotto quel cielo azzurro, senza neanche una nuvola e la striscia di profili bianca e irregolare delle montagne lontane. Nel parcheggio dell’hotel ci sono i meccanici che aspettano, Alvaro Pizzato, Licio Scartozzi, Luca Catabiani e lo storico Donato Pucciarelli. I ragazzi consegnano le bici. E’ un altro compito, un’altra storia ancora. Le biciclette sono un po’ come cavalli in carbonio: hanno bisogno di mani esperte e amorose per andare veloci, per sorreggere il peso dei loro fantini. Non corporeo ma di tutto il resto: le tensioni, la rabbia, le paure, la fatica che va sopportata fino alla linea bianca. Loro, i meccanici, sono un po’ dei custodi attenti che lavorano le prime ore del mattino o fino a notte fonda perché i telai splendano in corsa.
Più tardi, dopo aver pranzato, mentre altri ciclisti, di ritorno dalle visite mediche, si dedicano ai test sulla watt bike, Gianni mi racconta di loro, della nuova formazione per il 2015. La sala da pranzo è vuota, un raggio di sole entra dalla finestra e disegna un rettangolo sul tavolo scuro. C’è la presenza leggera di un cameriere che riordina in silenzio. C’è sempre questo clima familiare che aleggia su tutto e Gianni dice che è naturale. Spesso, nel ciclismo, le squadre vogliono a tutti i costi crearsi l’immagine di una vera e propria famiglia per i corridori. Chi lavora in questo ambiente sa che, a volte, non è così. L’Androni Giocattoli Venezuela è come si vede. Dall’esterno o dall’interno, la prospettiva non cambia. Una famiglia lo è davvero, nel bene e nel male, come tutte le famiglie vere.
Gianni sceglie con sensibilità i suoi corridori, tenendo conto di quel famoso istinto che non è quasi mai portato verso i risultati, piuttosto verso la loro umanità, la loro storia in bicicletta. E anche nella vita.
Ecco perché, raccontando i nuovi arrivati per la prossima stagione, comincia da Serghei Tvetcov, romeno nato in Moldavia che adesso vive in America. E’ un ragazzo che lo ha colpito, non solo per quel terzo posto all’USA Pro Challenge dell’anno scorso, ma per il potenziale che gli ha disegnato dentro. “E’ la mia scommessa” dice orgoglioso, con quel tono deciso che usa quando ha le idee chiare. Quasi sempre, insomma.
Poi parla di Oscar Gatto, con lui ha sempre avuto una simpatia particolare. Già dall’anno scorso, mentre era in Cannondale, un po’ scherzando, un po’ facendo sul serio, gli aveva detto che un giorno avrebbe voluto averlo in squadra. Si erano stretti la mano. E forse è stata un po’ una premonizione. Oscar è una sorpresa e Gianni pensa che questo può davvero essere il suo anno. E’ un ottimo corridore e forse, in passato, ha commesso degli errori. Errori di quel tipo che nel ciclismo si leggono “esperienza”. Quasi stesso discorso per Davide Appollonio, un finisseur che la scorsa stagione è arrivato secondo alla Roma Maxima dietro a Valverde. Ragazzi che Gianni spera possano trovare il giusto spazio per il proprio talento. Il Principe crede che il clima Androni farà bene anche a John Ebsen, scalatore puro, classe ’88, arrivato al professionismo forse troppo tardi e con un bagaglio di qualità che deve ancora essere aperto e portato alla luce. E poi ci sono Alberto Nardin e Marco Benfatto, il primo è un neoprofessionista abbastanza completo e il secondo, un velocista puro.
Tutti, nuovi e veterani, sotto la guida di un Capitano oramai consolidato: Franco Pellizzotti. Quando Gianni parla di lui, è paterno. Gli vuole bene e glielo si legge negli occhi. Franco ha sempre corso con grande qualità, dando prestigio alle corse alle quali partecipava. Ma non è questo che interessa al suo Team Manager, o meglio, non è solo questo. Oramai da anni, Gianni lo indica come leader indiscusso, un punto fermo per tutti i suoi corridori. Il perché lo spiega lui stesso. Franco ha la determinazione unita alla calma dei forti. Due virtù che gli hanno permesso di affrontare e reagire alle situazioni senza perdere la calma. In corsa e nella vita.
Non è un caso che quando gli si chiede qual è stato il momento più intenso e forse più rappresentativo di questi anni di Androni Giocattoli Venezuela, lui risponda senza indugio: il Campionato Italiano vinto da Pellizzotti. In quel momento era un corridore dimenticato da tutti, veniva da due anni di stop per una vicenda discutibile, era stato prima assolto dal TNA e poi condannato dal TAS di Losanna. Gianni è schietto e senza mezzi termini e dice qualcosa che forse nessun Team Manager confesserebbe: quella squalifica era un segnale forte per il ciclismo, necessaria per quel momento. Se Franco fosse stato assolto, l’efficacia del passaporto biologico sarebbe crollata e sarebbe stato un danno enorme per l’etica di questo sport. “E’ stata un po’ la vittima sacrificale” spiega. “Franco è stato forte, coraggioso, non ha perso la calma anche nei mesi di sofferenza, lontano dalle corse.”
Ecco perché quella vittoria ha un significato speciale. Non per il tricolore, non per il traguardo. Ma perché in quel momento Franco Pellizzotti è tornato ad essere l’uomo di sempre agli occhi degli altri. Umanità. Ecco una parola chiave, semplice e tremendamente difficile allo stesso tempo. Soprattutto da portare avanti in un mondo dove i risultati hanno sempre la prima parola. Però i traguardi sono più veri quando hanno il sapore del riscatto. Sul palmares valgono tutti allo stesso modo ma per chi li conquista è diverso, il valore lo decide il percorso. Un po’ come succede con le opere d’arte.
La striscia luminosa sul tavolo scuro si è fatta più sottile, il cameriere è sparito e nel silenzio volano i pulviscoli d’oro di un pomeriggio che non sembra invernale. Anche se tra poco scenderà in fretta la sera, questa sembra quasi aria di primavera. Di quelle primavere un po’ capricciose che accompagnano le prime gare di stagione e poi le Classiche del Nord. E d’altronde i mesi più freddi sono il nascondiglio dei sogni, si coltivano come nelle serre. Non manca molto, poi si inizierà a raccontare nuove storie per continuare questa tradizione, dove la squadra è il cuore pulsante: la rabbia, la frustrazione, la felicità, la paura, l’orgoglio, la fatica, la stanchezza, il coraggio.
Pedalare e scrivere hanno più cose in comune di quanto si creda. Entrambi scavano dentro, ti svuotano e ti riempiono in modi che solo noi conosciamo. Ti fanno sentire libero.
Il viaggio sta per ricominciare.