La sua aria giovane e l’essersi presentato come alfiere del cambiamento hanno permesso al 43enne Andrzej Duda di assurgere a nuovo astro nascente della politica polacca: da domenica scorsa è lui il nuovo Capo dello Stato, dopo aver sconfitto al ballottaggio il presidente uscente Bromislaw Komorowski. A cinque anni dalla tragica morte di Lech Kaczynski, i nazionalisti del partito Diritto e Giustizia (PiS) tornano ad avere un loro uomo al vertice della Polonia: seguendo le orme del suo predecessore scomparso nell’incidente aereo di Smolensk, Duda ha ottenuto i consensi dalla Polonia rurale, ultracattolica, socialmente conservatrice, ma soprattutto esclusa dal benessere che la crescita economica dell’ultimo decennio non è riuscita a distribuire in tutti gli ambiti della società. Del 51,6% dei voti che Duda ha ottenuto, solo il 40% proveniva dalle città: un dato che la dice tutta sull’abilità del neopresidente d’intercettare quel malessere anti-Ue che già nel 2010 aveva portato l’ex premier Jaroslaw Kaczynski (gemello di Lech) a sfiorare la vittoria.
Del resto, la campagna elettorale di Duda si è indirizzata quasi esclusivamente verso coloro che vedono l’avvicinamento di Varsavia alla moneta unica foriero di lacrime e sangue: le sue promesse hanno riguardato l’abbassamento dell’età pensionabile (portata a 67 anni nel 2012 su richiesta di Bruxelles), la riduzione delle tasse sul reddito e la conversione in zloty dei mutui contratti in franchi svizzeri, che per il neopresidente sono solo uno stratagemma delle banche per far soldi sulla pelle dei cittadini.
Tutte promesse che i suoi avversari hanno bollato come contraddittorie ed illegali, oltre che irrealizzabili, non foss’altro perche la Costituzione polacca non consente al Presidente di dettare l’indirizzo politico al Primo Ministro e al Parlamento, che almeno fino alle prossime elezioni (in programma in autunno) resterà saldamente in mano ai centristi di Piattaforma Civica, di cui fino a pochi mesi fa è stato leader quel Donald Tusk che attualmente presiede il Consiglio Europeo.
Ma Duda non ha vinto solo per il suo messaggio elettorale populista: non gli sarebbe certo bastato per battere un pezzo da novanta come Komorowski. Ha vinto perchè, pur parlando lo stesso linguaggio politico dei gemelli Kaczynski, ha saputo porsi all’elettorato in modo molto più rassicurante e credibile rispetto ai due “padri nobili” del PiS, spesso protagonisti di gaffe imbarazzanti e atteggiamenti caricaturali: aria istituzionale, elegante e colto (è figlio di accademici ed ha insegnato alla prestigiosa Università Jagelloniana), ha mostrato credenziali giuste per essere identificato dagli elettori come l’uomo del cambiamento. E questo suo modo di presentarsi ha inevitabilmente fatto breccia nei giovani, che cinque anni fa il grigio Jaroslaw Kaczynki non era riuscito a conquistare: due terzi degli under-30 polacchi ha votato per lui, grazie al quale stavolta l’ago della bilancia si è spostato verso il piatto del PiS.
Se, ora che i nazionalisti sono tornati ad avere un loro uomo al vertice dello Stato, l’effetto-Duda si farà inevitabilmente sentire nelle prossime scelte di politica interna della maggioranza centrista, viene da chiedersi se anche la politica estera di Varsavia subirà dei contraccolpi. Duda in effetti dovrà ora mostrare anche, e soprattutto, sulla scena internazionale se intende sganciarsi dal conservatorismo dei Kaczynski, o se invece Putin, la Merkel e l’Unione Europea si troveranno a che fare con un piantagrane degno dei gemelli suoi mentori: tra il 2005 e il 2007, negli anni in cui Lech e Jaroslaw Kaczynski ricoprivano rispettivamente le cariche di Presidente della Repubblica e di Primo Ministro, la diplomazia polacca si caratterizzò infatti per il piglio ultranazionalista, fonte di numerosi attacchi verbali ai due storici nemici della Polonia, ovvero la Germania e la Russia.
Gli stessi rapporti con Berlino (partner europeo e nella NATO) potrebbero mutare, specie se tra qualche mese la “luna di miele” tra Duda e i suoi elettori porterà il PiS a vincere le elezioni politiche. All’entente cordiale con i tedeschi la Polonia potrebbe preferire un asse orientale con la Lituania e l’Ucraina, in una sorta di Santa Alleanza rivolta al nemico comune, l‘odiata Russia. A tal proposito Duda, come del resto il suo predecessore Komorowski, si è già espresso in favore non solo di un ingresso di Kiev nell’Ue, ma soprattutto di un supporto militare all’esercito ucraino nelle sue operazioni belliche contro le milizie russofone nelle regioni del Donbass.
I governi europei intanto trattengono il fiato, poichè un’eventuale affermazione del PiS alle elezioni di ottobre rappresenta un’incognita le cui conseguenze sarebbero ora difficili da prevedere. Una vittoria degli euroscettici alle legislative significherebbe rimettere in discussione questioni comunitarie che in questi ultimi cinque anni a guida liberale ed europeista sono state considerate da Varsavia, seppur spinose ed onerose, come il giusto prezzo da pagare per far parte dell’Unione monetaria. Già, perchè la prossima tappa del percorso di integrazione europea della Polonia si chiama euro, e Duda già da prima della campagna elettorale ha iniziato ad attaccatare sia la moneta unica sia le politiche economiche che dovrebbero permettere a Varsavia di entrare a breve nell’Eurozona, ma che per il neopresidente significano impoverimento del ceto medio e rincaro dei primari beni di consumo. A questo proposito, uno dei suoi spot elettorali più indovinati (visto l’esito del voto) ha mostrato per settimane un’immaginaria famiglia polacca che, in un prossimo futuro in cui l’euro ha sostituito lo zloty, vive enormi difficoltà quotidiane per comprare da mangiare. Più spaventevole di così…