Anche stavolta arrivo al Traffic troppo tardi per la maggior parte dei gruppi di supporto. Non che lo faccia apposta, eh. Di solito è perché stacco da lavoro alle 21. Questa volta, che è domenica, è per via del viaggio di ritorno dal Tube Cult Fest, il piccolo Roadburn sull’Adriatico che mi aveva tenuto impegnato tra feedback e arrosticini di fegato nei due giorni precedenti. Arrivo in tempo per l’esibizione dei Doomraiser e mi spiace soprattutto essermi perso i Plakkaggio HC, autori dell’immortale cavallo di battaglia Colleferro, dedicato alla squadra di rugby del loro paese, e di quest’altro pezzo che, lo ricordiamo, è tra gli inni non ufficiali di Metal Skunk insieme a Tak, kurwa dei Semargl e Porta na donna dei Kurnalcool. A proposito di Kurnalcool, lo scorso weekend sono stato a trovare Piero Tola a Cracovia e ho conosciuto un suo amico marchigiano anch’egli grande fan degli Accept di Falconara. L’abbiamo finita completamente sbronzi alle sei del mattino a cantare a squarciagola C’ho il bisolfito e Fucking beverò mentre tutti intorno ci guardavano malissimo, barboni compresi. Non c’entra niente ma ci tenevo a scriverlo.
I doomster romani, probabilmente nella top 6 (le top 5 sono per fighetti) dei gruppi che ho visto più volte dal vivo, restano una garanzia e la nuova formazione, con l’innesto di due chitarristi dall’approccio e dallo stile più moderno dei loro predecessori, è sempre più rodata. Per non essere ripetitivo, evito di dilungarmi nelle consuete lodi alla compattezza e alla capacità di suggestione che questi veterani del culto del riff sfoderano dal vivo, soprattutto ora che la loro esposizione internazionale è aumentata e girano molto più spesso per l’Europa. Ammetto, però, che il loro recente Reverse (Passaggio Inverso) non è il loro album che amo di più, quindi finisco per smuovermi soprattutto sui pezzi più datati. Questione di gusti: i Doomraiser che preferisco sono quelli più retrò di Mountains of Madness. Il pubblico, però, risponde con il calore consueto, in attesa che si impossessi del palco la Leggenda.
La fama e l’importanza storica degli Angel Witch, da sempre quasi un progetto solista del cantante e chitarrista Kevin Heybourne, rimane legata quasi esclusivamente al magnifico esordio omonimo, uno dei capisaldi della Nwobhm. I due dischi usciti a meta’ anni ’80 non riscossero eguale fortuna. La mazzata finale fu il naufragio del trasferimento in Usa della band, dovuto ai guai di Heybourne con le leggi sull’immigrazione americane, che gli costarono il rimpatrio forzato un secondo prima di riprendere a suonare dal vivo con una line-up fatta di pezzi più o meno grossi della scena thrash, incluso Tom Hunting degli Exodus. Di pochi anni fa la reunion, che ha fruttato finora un album, il non disprezzabile As Above, So Below, uscito per Rise Above nel 2012, dal quale vengono pescate le prime due tracce. Il resto della scaletta è tutto incentrato su Angel Witch, con alcuni estratti da quella storica demo incisa nel 1978 e poi inclusa in quasi tutte le più recenti ristampe del capolavoro del 1980. Screamin’n’Bleedin e Frontal Assault vengono del tutto ignorati. Del resto i pezzi che l’udienza, piuttosto fitta, vuole sentire sono altri.
Si parte con Gorgon e al terzo brano, la meravigliosa Atlantis, ho già perso la brocca. Strepito i cori alzando le corna al cielo e l’intensa risposta di un pubblico anagraficamente meno stagionato di quello che mi aspettavo dà un deciso contributo alla buona riuscita di uno show che, a ripensarci una settimana dopo, mi suscita ancora sorrisini ebeti. Considerando l’età e i lunghi anni di inattività, Heybourne se la cava discretamente dietro il microfono, nonostante qualche perdonabile sbavatura. Al suo fianco il bassista Will Palmer e il chitarrista Tom Draper (che ha sostituito da un paio d’anni Bill Steer, oggi troppo impegnato con la reunion dei Carcass) fanno il loro lavoro da solidi comprimari. Alla batteria c’è invece Andy Prestridge degli interessanti Lucifer (curiosamente, il primo moniker degli Angel Witch fu proprio Lucifer). Il tempo passa in fretta tra classici immortali come White Witch, la mia favorita, e Angel of Death. Si arriva stremati e felici al bis con Baphomet e Angel Witch, dove intoniamo il ritornello così forte che ci avranno sentito fino a Tivoli. Guardo Heybourne e rifletto su come sia sovente una minchiata accusare certi musicisti di rimettere in piedi la baracca per qualche dollaro in più. Immagino c’entri la mezza età. Arrivi a cinquant’anni e ti rendi conto che il tempo che ti resta da vivere è meno di quello che hai vissuto e allora devi trarre un bilancio. Se il destino ti ha fatto lo sgambetto, è quindi giusto, prima o poi, andarti a (ri)prendere la soddisfazione di essere assordato da decine e decine di gole che urlano i cori di quelle canzoni che avevi scritto da ragazzo, quando magari sapevi di avere tra le mani qualcosa di bello e importante ma non immaginavi di essere destinato a raccogliere così poco. Quanto a me, a concerto concluso, avrei voglia di riascoltare tutta la scaletta daccapo (Ciccio Russo).
Scaletta:
Gorgon
Confused
Atlantis
Sorcerers
Into the Dark
White Witch
Extermination Day
Dead Sea Scrolls
Dr. Phibes
Angel of Death
Baphomet
Angel Witch