Angela Merkel, ovvero la politica dell’ austerity, vince le elezioni, sollevando domande sul destino economico dell’ Europa
Lunedì 23 settembre la CDU/CSU (ovvero l’unione cristiano-democratica, col partito gemello bavarese unione cristiano-sociale) guidata dalla cancelliera Angela Merkel, ha trionfato con il 41,5%, che però, per soli cinque seggi, non raggiunge la maggioranza assoluta in parlamento. Solo il 25% dei voti é andato all’SPD (Partito social-democratico) di Peer Steinbruck, laddove l’FDP (Partito liberal democratico) e gli anti-europeisti (Alternative fur Deutschland) non superano la percentuale del cinque per cento, e quindi sono fuori dal parlamento. La Linke ed i Verdi superano invece lo sbarramento, con un risultato rispettivo del 8,6 per cento e del 8,4 per cento. Di conseguenza, Angela Merkel conquista 311 seggi su 630, l’SPD 192 seggi, la Linke 64, ed i verdi 63. Si profila quindi una grande coalizione fra CDU/CSU ed SPD, anche se alla cancelliera sarebbe sufficiente allearsi anche con un altro partito che ha varcato la soglia di sbarramento (in tal caso i Verdi più probabili della Linke).
Qual é, innanzi tutto, la ragione di questo terzo successo di Angela Merkel, che é il migliore del suo partito negli ultimi ventitré anni? Ho provato a chiederlo ad alcuni turisti tedeschi, che in questa stagione, dalle temperature ancora estive, affollano la capitale.
Tanya ha vent’anni, e vive a Berlino. Secondo lei, la cancelliera é stata nuovamente votata perche é riuscita a trasmettere al paese, che cerca stabilità, l’ottimistica convinzione che la Germania diventerà una nazione sempre più forte, ovvero si avvierà verso un sempre crescente benessere economico. Aggiunge che Angela Merkel é amata soprattutto dall’ elettorato di mezza età, che la trovano assai rassicurante nelle sue consolidate abitudini, nel suo prudente auto-controllo, che si manifesta perfino nel suo immutabile stile nel vestire. Per quanto riguarda invece i giovani come lei, Tanya afferma che la vorrebbero più anti-conformista, meno prevedibile, meno reticente e più disposta a prendere nette posizioni.
La signora Gisela, di 67 anni, vive a Monaco di Baviera, e mi spiega che Angela Merkel é stata votata essenzialmente perchè la gente di lei si fida, poiché é una donna seria, di parola, onesta, concreta, competente, e anche gli immigrati in Germania, ai quali ultimamente é stato concesso il diritto di voto, l’hanno preferita perché la sua politica garantisce lavoro e occupazione.
Il signor Klaus, di 43 anni, vive vicino a Brema, e mi spiega che invece secondo lui il successo della Merkel non si spiega tanto con le sue personali qualità, ma semmai coi pregi (ovvero con la parte migliore) della nazione tedesca, che ella vuole rappresentare e della quale si fa portavoce. I tedeschi, nel periodo del loro deficit (che corrispondeva ai primi anni del 2000) si sono dati da fare subito, senza lamentarsi, senza dilungarsi in chiacchiere inutili, e hanno anche accettato di essere sottopagati, di fare gli straordinari e di subire licenziamenti facili (ovvero di essere meno garantiti in materia di diritto del lavoro) pur di favorire la ripresa economica del paese.
Appurato dunque che i tedeschi (almeno quelli che oggi circolano nei paraggi del Colosseo) sono tutto sommato soddisfatti della signora Merkel, rivolgo la stessa domanda anche a qualche nostro connazionale. Marco, di 28 anni, afferma: ‘La Merkel é una donna di carattere, che antepone l’interesse della sua nazione a tutto il resto.‘ Giovanna, 26 anni, afferma: ‘La cancelliera ha deciso di soggiogare l’Europa con l’arma dell’economia e della finanza. Della nostra crisi certamente non soffre, ma semmai gode, cosi’ il suo paese non ha rivali‘.
A tal proposito, ascolto anche l’opinione del cinquantaduenne Alessio: ‘La Merkel non é assolutamente contenta, ma anzi ha paura che gli altri affondino, perché le banche tedesche hanno prestato molti soldi ai governi dei paesi meridionali europei (come Grecia, Spagna, Portogallo, ed anche l’ Italia) e quindi se questi paesi vanno in default le banche tedesche perdono miliardi. Questa é la ragione per cui é stato creato il fondo salva-stati e si é parlato di eurobond, per far in modo che se un paese precipita nella crisi, gli altri ne risentano meno. Tuttavia la popolazione tedesca vede solo dei soldi tedeschi dati a governi pigri ed irresponsabili, e quindi protesta presso la Merkel, che deve diventare ‘equilibrista‘ per non perdere consensi in patria ma che, allo stesso tempo, vuole raggiungere la sua principale ambizione in politica estera, che é quella di riuscire a tenere in piedi il sistema bancario europeo nel suo complesso. Secondo molti comunque l’euro e il mercato unico hanno avantaggiato soprattutto la Germania, che aveva un marco più stabile rispetto ad esempio alla lira o alla dracma, e quindi ha potuto aumentare le sue esportazioni a discapito di altre industrie europee‘.
Terminate le mie interviste, cerco di non solo di rifletterci sopra, ma anche di documentarmi meglio a riguardo, e alla fine deduco che il sempre crescente benessere economico di cui parla Tanya, la sicurezza in termini di occupazione di cui parla la signora Gisela, e anche quella rinuncia di tutele nell’ambito del lavoro, di cui orgogliosamente parla il signor Klaus, hanno dei risvolti inquietanti. Sebastien Dullen, professore di economia internazionale all’università di Berlino, evidenzia come l’austerità tedesca, se applicata a tutti i paesi dell’ eurozona, potrebbe degenerare in una generalizzata deflazione, ovvero ad un abbassamento dei prezzi delle merci (che di conseguenza diventano meno esclusive ed appetibili), con un conseguente aumento del potere d’acquisto della moneta. Perché mai i prezzi dovrebbero abbassarsi? Per il semplice fatto che, riducendo i salari (ovvero adottando il rigoroso metodo della Cancelliera) il comune cittadino tende al risparmio, e quindi non compra. Non comprando, gli articoli rimangono invenduti, e quindi l’azienda è costretta a diminuire ulteriormente i prezzi, e quindi anche i salari dei dipendenti.In Germania, attualmente, un tedesco su cinque lavora con una retribuzione inferiore a nove euro all’ora, in un sistema che tra l’altro incentiva il part-time. E la stranezza della questione, é anche il fatto che la Cancelliera ultimamente ha invece aumentato il suo stipendio, che ammonta a venticinque mila euro al mese, venendo superata solo da Barack Obama, e conquistando quindi il primato di ‘Paperona d’ Europa‘. Si direbbe dunque che il ‘miracolo tedesco‘ sia soprattutto frutto di ridotte paghe ai lavoratori. Dullien insiste sul principio che una compressione della domanda, e quindi una diminuzione nei consumi, può essere sopportata da un solo paese, che la compensa grazie alle esportazioni degli altri membri dell’unione, ma se tale logica dovesse estendersi anche a questi ultimi, la deflazione diverrebbe un inevitabile fenomeno europeo .
Anche lo statunitense Adam Posen, Ph.d in Political Economy and Government ad Harvard University, nonché presidente del Peterson Institute for International Economics, sottolinea, sul Financial Times, che la Germania non solo ha il più grande numero di lavoratori sottopagati rispetto al reddito medio nazionale dell’ Europa occidentale (con un P.I.L. per ora lavorata inferiore al 25% rispetto alla media), ma registra anche una costante diminuzione nell’ investimento di capitali. Egli evidenzia anche il declino del manifatturiero, che non riguarda solo la Germania (anche se l’ Italia ed il Giappone rimangono, seppur a stento, a galla nel settore), e poi parla della ‘mania‘ tedesca per le esportazioni che, a suo parere, rappresenta, lungi che un vantaggio, semmai un pericolo:
L’ossessione per l’export ha distratto i governanti dalla necessità di ricapitalizzare le banche, deregolamentare il settore dei servizi ed incentivare la riconversione industriale. Inoltre, gli investimenti pubblici in infrastrutture, istruzione e sviluppo tecnologico potrebbero aiutare a rendere più profittevoli gli investimenti privati, cosa che permetterebbe una crescita accompagnata da salari più elevati. La dipendenza dalla domanda estera ha sottratto ai lavoratori tedeschi il loro guadagno, che avrebbero potuto risparmiare e spendere. Essi ora dipendono dall’export per la crescita, in un circolo vizioso che si auto-alimenta. Ancor più importante, questa situazione significa che essi si muovono verso il basso nella quota del valore aggiunto, non verso l’alto. La compressione dei salari non sarà una strategia di crescita vincente per il futuro della Germania e dell’ Europa.‘ (Adam Posen, Financial Times, 3 settembre 2013)
Posen evidenzia come la percentuale di giovani lavoratori laureati in Germania sia inferiore a quella del Canada, del Giappone, della Polonia, della Spagna, del Regno Unito e degli Stati Uniti, e non sia nemmeno aumentata rispetto alla generazione precedente. La Germania ha rinunciato ad investire nella ricerca, nell’università pubblica, e anche nel settore privato non ha incrementato la disponibilità dei suoi famosi apprendistati. La Merkel, secondo Posen, trascurerebbe quindi il paese di Goethe e Schiller sul piano intellettuale (seppur vanti un dottorato in chimica quantistica), e il bel castello che ha creato, e che erge a modello, si baserebbe su presupposti inconcepibili per un paese avanzato. Nel 2009, Heinz Buschkowsky, il sindaco socialdemocratico di Neukolln, un distretto di trecentomila abitanti al sud di Berlino, denunciò il fenomeno sotterraneo e strisciante della bassa scolarizzazione, in base al quale 139 etnie non erano minimanente integrate fra loro e subivano forme di criminalità che includevano matrimoni forzati e delitti d’onore. Il sindaco affermò che la disoccupazione giovanile non poteva risolversi con un semplice sussidio statale, poiché bisognava dare a queste persone ‘coscienza di quello che hanno raggiunto di se stesse‘, ovvero degli strumenti conoscitivi, delle forme di affrancamento che non potevano essere rimpiazzate dal welfare state. Di conseguenza, sollecitava un intervento dello stato, osteggiato anche dal suo stesso partito di appartenenza, in base al quale i bambini, non diversamente che nel Bronx, sarebbero stati accompagnati a scuola ogni mattina dai poliziotti (Corriere della sera, 18 maggio 2009, articolo di Taino Danilo). Da questo quadro, si evincerebbe quindi la presenza di gravi disagi sociali, mascherati dall’ ipocrisia di un solo apparente benessere, fatto di sufficienti mezzi di sussistenza, di strade linde e di decente manutenzione edilizia.
Ed ora, anche visto che il signor Alessio li ha menzionati, mi soffermerei brevemente sulla questione degli eurobond e del fondo salva-stati. Gli eurobond (i titoli obbligazionari pubblici paneuropei), a quanto pare, non piacciono molto alla Merkel, che teme non solo il rischio di inflazione, ma anche il fiscal compact, ovvero una sorta di sinergico avvicinamento fra gli stati europei sul piano finanziario, che limiterebbe la sua sovranità nazionale in tale ambito. L’ostinata contrarietà della Merkel agli eurobond (nonostante il parere favorevole del premier francese François Hollande) é quindi assai deleteria per quei paesi che vedrebbero in questa risorsa un’ancora di salvezza per uscire dalla recessione. Per quanto riguarda invece il fondo salva-stati (che é simile nelle intenzioni, ma con meccanismo diverso, al preesistente Efsf) esso prevede che quando un paese é in difficoltà economica, gli altri membri comunitari possano aiutarlo attraverso un finanziamento. Ogni paese contribuisce a questo fondo (ammontante a 500 miliardi di euro) con una quota proporzionata a quella posseduta nella Banca Centrale Europea (Bce) che per la Germania ammonterebbe a 190 miliardi di euro. Oltre a concedere prestiti, il fondo salva-stati potrebbe anche comprare i titoli dei paesi in crisi economica, facendo quindi scudo allo spread (ovvero del differenziale, in termini di rendimento, fra i titoli in questione e dei bund tedeschi). Al fondo salva-stati, originariamente approvato, ben 37mila cittadini vi si erano opposti. Soltanto la corte costituzionale tedesca, con un verdetto del 12 settembre 2012, emessa dai giudici di Karlsruhe, ha dato il via a questo piano europeo, a condizione che lo stabilito contributo finanziario della Germania al fondo non venga aumentato, salvo decisione contraria del Parlamento tedesco.Angela Merkel, quindi, vivrebbe una sorta di ‘dualismo‘ fra la sua immagine in patria, dove, tutto sommato, é amata e ben accetta, altrimenti la maggioranza della popolazione, che affettuosamente la chiama Mutti (mammina), certamente non la voterebbe, e la sua figura in Europa, dove viene spesso interpretata come una sorta maestrina intransigente, sempre vigile e pronta a ‘bacchettare‘ gli alunni più indisciplinati. Data la sfuggente complessità della sua personalità, data la sua almeno apparente mancanza di ideologie, dato il suo moderno machiavellismo, ella abilmente sfugge ad ogni etichettatura, anche se, durante il governo Monti, diminuire la forbice dello spread era significato aumentare vertiginosamente la pressione fiscale, con tutte le conseguenze del caso, prima fra tutte quella di ben mille suicidi per debito soltanto nell’arco del 2011. Angela Merkel sarà anche una maestrina realmente apprensiva e sinceramente preoccupata, ma vuole che ogni paese, per essere degno di relazionarsi con lei, faccia bene i suoi compiti a casa, e senza contare troppo sull’aiuto dei ‘più bravi‘. Al consiglio europeo del 29 giugno 2012 ha affermato: ‘Si deve dare alle istituzioni europee più potere di agire contro i paesi che non rispettano le regole‘ (Milanofinanza.it, 15 luglio 2012). Riferendosi alla Grecia, la Merkel ha sottolineato, alludendo al predecessore Gerard Schroeder, che ‘non avrebbe mai dovuto entrare nell’euro‘ ( Il sole24ore, 28 agosto 2013), implicando quindi (non poi cosi’ diversamente dallo sbaragliato partito anti-europeista) che l’Europa é composta anche da ‘pecore nere‘ che, in quanto tali, non devono essere soccorse, ma semmai tagliate fuori, lasciate precipitare per conto proprio.
Una teoria assai plausibile é quella del signor Alessio, quando afferma che la cancelliera si trovi fra due fuochi, poiché da una parte vorrebbe forse manifestare, anche concretamente, la sua solidarietà ai paesi in crisi (se non altro per passare alla storia non come un’antipatica guastafeste, ma semmai come una strenua paladina nella salvaguardia dell’ unione europea) dall’altra si sente pressata dalla politica interna, da un elettorato che esige coerenza, ovvero che vuole essere ripagato per i costi del suo sudato benessere, senza dover assistere ad un flusso emorragico delle finanze al di fuori del paese. In altre parole, Mutti in patria, ma matrigna fuori dai confini nazionali. Considerando la situazione politica italiana, dove il denaro pubblico viene distratto continuamente da politici disonesti, dove l’evasione fiscale dilaga e dove i governi sono sempre in bilico per egocentrica litigiosità, dare del tutto torto agli elettori tedeschi – che temono l’idea di veder elargito il risultato delle loro rinunce a chi non lo merita – diventa un po’ difficile. Almeno per ridare credibilità al nostro paese, almeno per far circolare un fondamentale senso di moralità e dignità, potremmo forse fare leva anche sulla nostra proverbiale arte di arrangiarci, e non solo contare sull’assistenzialismo europeo, in primis quello della nazione tedesca.
Angela Merkel, da molti anni, va in vacanza ad Ischia, e quando, lo scorso marzo, ha saputo che il maitre del suo hotel era stato licenziato, si è precipitata a casa sua, per assicurarsi che stesse bene, ed è rimasta con la sua famiglia a cena. (L’Unità, 1 aprile 2013). A tal proposito, nella mia mente si fa spazio un quadro distopico. Immagino un’ Italia dove i turisti non solo si accorgono che il personale del loro solito albergo non ha più il lavoro, ma anche che i ristoranti ed i negozi, non riuscendo a sostenersi, hanno abbassato le saracinesche, che i teatri ed i musei, per mancanza di fondi, sono stati chiusi. Oppure che, in caso d’ emergenza, gli ospedali non possono più soccorrere i malati, perché non vi sono più posti letto e strutture adeguate. Essere europei, almeno per chi sogna l’Europa unita, non significa solo appartenere a un rispettivo territorio, più o meno distante, ma significa far parte di una grande, unica famiglia, dove i più grandi accompagnano e si curano dei più piccoli, finché non riescono a camminare da soli. Fermo restando che, per noi italiani, essere ‘piccoli‘ significa soprattutto avere una tassa occulta di 60 miliardi all’anno causata da tangenti, con una conseguente perdita di 10 miliardi di prodotto interno lordo all’anno (Panorama, 17 febbraio 2012, Quotidiano.net, 1 ottobre 2012). Anche la Grecia, in quanto a corruzione, é più o meno sulla nostra stessa barca, ma almeno il suo tracollo economico sarebbe dovuto anche al signorile buon gusto di elargire pensioni alle figlie nubili dei dipendenti statali, e di mandare i barbieri in pensione anticipata perché maneggiano sostanze nocive, e quindi per proteggere la loro salute (idealista.it, 14 febbraio 2012).
Speriamo che, di queste nobili intenzioni, qualcuno ne terrà conto.