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Angelino Alfano, Tafanus, Eugenio Scalfari, Noam Chomsky, e l'apologo della rana bollita

Creato il 19 luglio 2013 da Tafanus

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Eugenio Scalfari                                Corrado Augias

Giuro, Eugenio Scalfari non ha copiato dal Tafanus la sua articolessa di oggi sul caso Alfano, anche se riporta pari pari le nostre conclusioni:

  • Se Alfano sapeva, è un criminale
  • Se Alfano non sapeva, è un cretino
  • Alfano deve essere cacciato comunque
  • La conseguente crisi di governo è una minaccia virtuale, perchè Berlusconi vuole che questo governicchio duri almeno quanto la crisi
  • Enrico Letta non vuole la crisi, perchè quando vedrà più la poltrona di premier e l'aereo blu?
  • Dunque, non c'è nessun pericolo di crisi. Ma - aggiungo io - anche se la crisi ci fosse, ogni tanto, se vogliamo rendere questo paese puzzolente, dobbiamo pur trovare il coraggio di far pagare un prezzo all'economia sull'altare dell'etica.

Giuro, neanche il Tafanus ha copiato da Scalfari, visto che il post del Tafanus è precedente all'uscita dell'articolessa di Scalfari.

Resta una sola conclusione: non si esclude che le cose di buon senso possano venire in mente in contemporanea a due persone. In questa fattispecie, forse sono venute in mente a qualche decina di milioni di persone, con l'esclusione imbarazzante di Napolitano, Letta ed Epifani.

In questo post (lo scrivo pur sapendo che non serve a niente, ma solo per continuare a sfogare la mia rabbia pestando su una tastiera) voglio riportare i passi salienti dell'articolessa di Scalfari, e un fantastico (ma non fantasioso) apologo della "rana bollita", che devo all'intelligenza di un lettore che scrive ad Augias, ed alla intelligenza dello stesso Augias, che sceglie di pubblicarla con ampio rilievo, e di commentarla con grande acume. Tafanus

 

Quel ministro non può restare al suo posto (di Eugenio Scalfari - Repubblica.it)

Agelino Alfano non si dimetterà da ministro dell'Interno e da vicepresidente del Consiglio nonostante l'immane pasticcio di cui è responsabile per l'espulsione di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua e la sua consegna al regime dittatoriale del Kazakistan. Non si dimetterà perché Berlusconi lo incoraggia a restare al suo posto, Enrico Letta cerca di evitare la crisi di governo che avverrebbe qualora il premier sconfessasse il suo vice, e il Pd ha dal canto suo le medesime preoccupazioni.
Il partito democratico è pressoché unanime nel considerare Alfano responsabile di quanto è avvenuto, sia che ne fosse al corrente, sia che (come lui afferma) fosse stato tenuto all'oscuro dai suoi più intimi collaboratori; ma il gruppo dirigente ha invece deciso, sia pure turandosi il naso, di non votare la sfiducia ad Alfano per evitare una crisi di governo con conseguenze nefaste sull'economia, sui mercati, sulla credibilità italiana in Europa che il pasticcio kazako ha comunque fortemente indebolito.
La conseguenza di questi fatti, che messi insieme determinano un vero e proprio evento politico, sarà comunque una crisi profonda del governo e del Pd, la cui base è in gran parte profondamente scontenta di quanto è accaduto e soprattutto di quanto non è accaduto, con tutte le conseguenze che questo scontento provocherà.
Il nostro giornale ha dato ampio conto dei fatti di questi giorni e la nostra posizione è stata nettamente manifestata dall'intervento di Ezio Mauro lunedì scorso e nei giorni successivi dai nostri principali editorialisti. Noi siamo per le dimissioni di Alfano e per un voto conforme da parte del Pd, anche se ci rendiamo perfettamente conto delle conseguenze negative d'una crisi di governo. Vorremmo cioè che il governo Letta continuasse nell'opera intrapresa che riteniamo positiva nonostante le difficoltà che deve superare. Non vorremmo affatto una crisi di governo ma giudichiamo che in ogni caso il rischio vada affrontato perché un cedimento costerebbe l'implosione a breve scadenza di quel partito e quindi del perno della sinistra democratica italiana.
Personalmente  -  oltre a condividere pienamente queste valutazioni  -  penso che non sia nell'interesse politico di Berlusconi la prova di forza sul caso Alfano.
Conosco Berlusconi da quarant'anni. Siamo stati concorrenti quando era semplicemente un imprenditore televisivo. Amici mai, già allora troppe cose ci dividevano, interessi e valori; ma conoscenti sì, fino alla sua entrata in politica. Da allora non ci siamo mai più né visti né parlati. Ma ora, in quest'occasione, ritengo opportuno fargli presente che i suoi interessi (non parlo di quelli generali sui quali abbiamo opposte valutazioni) dovrebbero consigliargli di far ritirare Alfano dal governo e sostituirlo con altra persona di sua fiducia e più adatta a ricoprire gli incarichi governativi che gli spettano.
A Berlusconi, qualunque sia il vero giudizio che dà dell'attuale segretario del suo partito, di Alfano non importa nulla. Gli è servito e gli serve anche se i contrasti tra loro non sono mancati. Ma gli serve assai di più che il governo Letta resti in carica per tutto il tempo non certo breve necessario a portare il paese fuori dalla recessione. E gli serve, affinché questo avvenga, che il Pd non diventi ingestibile, come la presenza al governo di Alfano lo renderà.
L'attuale ministro dell'Interno riaffermi pure la sua "innocenza" nel caso kazako; Letta dia per certa questa tesi e Berlusconi ancora di più, ma suggerisca al suo rappresentante di ritirarsi per ragioni di opportunità. Avvenne già in Italia un caso analogo quando il ministro per la Difesa, Vito Lattanzio, fu indotto dall'allora presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, a dimettersi per la fuga del massacratore nazista Kappler dal carcere in cui stava scontando la pena inflittagli da una sentenza definitiva. Il ministro era all'oscuro della trama che aveva reso possibile quella fuga, ma Andreotti, su consiglio di Ugo La Malfa, lo invitò pressantemente a dimettersi per evitare che il governo fosse messo in crisi da un suo importante alleato.
Questo dovrebbe fare oggi Berlusconi. Se lo facesse, una volta tanto i suoi interessi coinciderebbero con quelli del paese. (Eugenio Scalfari)

 

Ma voglio qui riportare anche l'apologo della "rana bollita", attribuito a Noam Chomsky, perchè ben rappresenta la ressegnazione inconsapevole della casalinga e del casalingo di Voghera al lento suicidio. Ormai l'unica reazione alla bollitura della rana viene dal frinire stridulo del grillo, che ormai quasiu tutti gli esseri pensanti hanno decodificato per puello che è: l'amplificazione acustica e gestuale del nulla.  Col Bihero di Frignano intenzionato a togliergli quote di mercato pescando nello stesso stagno: quello del "bartalismo" ("...l'è tutto sbagliato, tutto da rifare...). Ma né il frinire del comico bollito, né il fastidioso bla bla bla del bischero, ervono a farci uscire dalla pentola, o almeno a spegnere il gas, prima che sia troppo tardi. Tafanus

Noi assuefatti a tutto, come la rana bollita (Antonio Sutera Sardo a Corrado Augias)

Rane-bollite

Caro Augias, questa storiella è attribuita a Noam Chomsky: una rana viene immessa in una pentola d'acqua. Il fuoco è acceso, l'acqua diventa tiepida. La rana la trova gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l'acqua è calda. Un po' più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po', però non si spaventa. L'acqua adesso è davvero molto calda. La rana la trova sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza per reagire. Sopporta e non fa nulla. La temperatura sale ancora, fino a quando la rana finisce - semplicemente - morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell'acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa e sarebbe balzata fuori dal pentolone.

Quando un cambiamento avviene in maniera lenta, sfugge alla coscienza e non suscita - per la maggior parte del tempo - nessuna reazione, nessuna rivolta. Da alcuni decenni stiamo subendo una lenta deriva alla quale gradatamente ci siamo (ci hanno) abituati. Molte cose che ci avrebbero fatto orrore 30 o 40 anni fa, sono diventate banali, ci disturbano solo leggermente, lasciano molti indifferenti. Come la rana.

Antonio Sutera Sardo — [email protected]
 
LA RISPOSTA DI CORRADO AUGIAS - Che l'apologo, sia o no di Chomsky, è ingegnoso e descrive comunque bene il processo di assuefazione che rende tollerabili manifestazioni e fenomeni anche molto gravi quando vengano progressivamente assorbiti. Se nel 1992, quando l'attuale deriva è cominciata, ci avessero detto che la politica si sarebbe ridotta al perenne litigio che abbiamo sotto gli occhi, che tutte le istituzioni, comprese le più alte, sarebbero state coinvolte nel fuoco delle polemiche, tirate da tutte le parti, insultate o derise, che la corruzione sarebbe arrivata a un livello da far impallidire Tangentopoli, nessuno ci avrebbe creduto.

Se si fosse dovuto affrontare di colpo ciò che oggi è cronaca quotidiana, molti avrebbero reagito. C'è una prova storica che conferma questa opinione. Nel luglio 1994, Berlusconi, è a palazzo Chigi da tre mesi, si emana un decreto inteso a salvare dal carcere i corruttori. È subito ribattezzato "salvaladri". La reazione dell'opinione pubblica, nonostante sia in corso il Mundial sul quale probabilmente si contava come fattore di distrazione, è tale che il provvedimento dev'essere ritirato. È stato uno dei rari errori di comunicazione di un uomo per il resto abilissimo. Infatti era l'equivalente della rana gettata nell'acqua bollente. Da allora, fino al Lodo detto Alfano, si conteranno altri diciassette provvedimenti ritagliati su misura, cioè "ad personam". Ebbene, come quelle della rana, anche le reazioni di molti sono diventate sempre più blande, fino a raggiungere in molti un'indifferenza suicida.

Corrado Augias


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