Fiducia.
Risultato che per un pelo, o quasi, non raggiungeva proprio quello di Adenauer - l'unico in grado di ottenere la maggioranza assoluta nel 1957. Poi ci fu Kohl nel '90, sull'onda dell'unificazione dell'anno precedente, che raggiunse il 40.5% per cento da solo (a cui si aggiungerebbe il 7.7 della Csu). Oggi Angie, arriva al 41.5 per cento e come ventitre anni fa il suo mentore, incrementa corposamente il risultato dell'ondata precedente (+7.7 %).
Il commento ai risultati è sulla bocca di chiunque, anche perché il ruolo della Germania nel nostro presente è talmente importante che lo sfogo mediatico ha portato ad una copertura simile a quella delle elezioni nazionali. Da un po': è diverso tempo che si sente ragionare in termini di "vedremo dopo le elezioni tedesche".
In ordine sparso allora, alcune considerazioni, anche - perché no? - come proxy per questioni italiane.
- Stavolta, a differenza di quel 2 dicembre 1990, i liberali (Fdp) - chiusero con l'11.9 dei seggi - non hanno superato la quota per l'ingresso in Parlamento, sicché l'alleato preferenziale di Merkel non potrà esserci. L'assenza dei liberaldemocratici di Rosler pone la problematica sulla costruzione dell'esecutivo. Merkel sceglierà con ogni probabilità l'Spd come partner. E con ogni probabilità le trattative dureranno qualche settimana - come è giusto che sia - senza che si avvii un processo che attinge alle retoriche del "perdere tempo" e della "casta": d'accordo che la situazione è diversa dalla nostra, ma certe soluzioni richiedono comunque passaggi profondi, riflessione, intese, programmazione, accordo. Con questo non voglio giustificare l'indecisione di Bersani di qualche mese fa, ma serve a dire che sarebbe bello ragionare prima di urlare "Casta, vergogna, siete tutti uguali!".
- Con la stessa probabilità, nessun tedesco - iperbole per dire, la gran maggioranza - non si scalderà, non userà semantiche da bar, non penserà sempre e solo al male, al losco, al complotto. Non si parlerà di inciucio insomma, davanti ad un accordo di governo tra i principali partiti di destra e di sinistra. La Grande coalizione non sarà fatta passare - e dunque non sarà vista - con lo stesso trattamento negativo della nostra "Larghe intese". La Germania l'ha già vissuta e i risultati sono stati altroché positivi, è la storia recente, i fatti, il presente dei dati, che li raccontano meglio di qualsiasi altra cosa. Quando si è seri, si è seri insieme o da soli.
- Una notazione riguarda anche l'Spd, il partito assimilabile per vocazione, visioni e posizionamento, al nostro Partito democratico. L'Spd ha scelto l'autodeterminazione. Ha scelto di andare da solo, di affidare al volere del proprio elettorato il proprio destino, senza aiutini, senza istintività, senza cedere a facili soluzioni. Lo ha scelto alla luce di sondaggi che lo davano perdente già da tempo, soprattutto se poi si pensa al severo sistema elettorale tedesco. Avrebbe potuto corteggiare la Linke - un po' qualcosa di simile al nostro Sel - avrebbe potuto allearsi con i Verdi, che in Germania hanno un senso compiuto, ripagato da un 8 per cento di elettori (ma anche qui, ha scelto di affrontare le problematiche ecologiche dall'interno). Ha scelto di essere da solo, come scelgono i grandi partiti, senza paura, senza vie di mezzo, senza titubanze: come deve essere un partito che guida la società - un po' quel discorso di non essere compagni di viaggio dei propri elettori e di uscire dalle comfort zone. (Da notare, che se Spd, Verdi e Linke si fossero alleati, avrebbero potuto governare).
- Il sistema elettorale: il sistema tedesco è più o meno un proporzionale. Diventa Cancelliere chi riesce ad ottenere la maggioranza dei voti alla Camera bassa (il Bundestag): il cancelliere è proposto senza discussione parlamentare dal presidente federale. Merkel non ha la maggioranza necessaria. Il sistema è molto serio, se si pensa che con oltre il quaranta per cento dei consensi, si rischia di non poter formare un esecutivo da soli. Qui in Italia, per dire, Bersani - o Grillo - alle ultime elezioni volevano farlo con il 25 per cento.
- Che cosa non è la Merkel: Merkel non è la destra che ci immaginiamo. Questo ha portato spesso qui in Italia, ad individuare nel cancelliere tedesco una posizione "di sinistra", anche spinto dalla semantica berlusconiana. Non è così, anche se Patrick Diamond - analista di primo livello, abbastanza di sinistra - lo ha definito "progressive conservatism". Un pezzo d'errore è stato commesso a sinistra, specie da un certo elettorato molto istintivo che inquadra(va?) in chiunque ce l'avesse con Berlusconi, un "compagno" di ventura. Ma l'errore c'è stato anche a destra, dove lo stesso genere di elettorato - altrettanto istintivo - vedeva in chiunque razionalmente criticasse il "capo supremo" un nemico da distruggere, insultare, sfottere ("Culona etc" remember). Questo per una staratura mentale, dovuta ad un sistema politico ispirato da un berlusconismo antropologico - pro o anti - che ha deviato i nostri riferimenti.
- Merkel e quel che rappresenta è molto diversa dalla destra che noi conosciamo dunque. Partiti del popolo - il ritorno del Volkspartein? - ma non populisti. Una destra che vince, come quella norvegese o svedese, e magari quella australiana (e poi sotto a chi tocca, Rep Ceca e Austria le prossime?), ma non perché estremista o ultraconservatrice - altro pezzo di una retorica più attuale, che vorrebbe far passare le sconfitte personali delle sinistre, come derive sociali di un pendolo politico sempre più spostato dal lato opposto. Queste destre internazionali, vincono perché affidabili, credibili, protettive, rassicuranti, senza la necessità di arruffianarsi l'elettore e arrabattarsi sul presente. Vincono sul futuro - quello che invece dovrebbero fare i partiti progressisti. Destre spesso ultrarealiste e il caso della Germania è evidente, disimpegnata dalla politica estera globale, a differenze del proprio ruolo in quella economica. Un tipo di destra travestita quasi da sinistra, forse è vero - come per certi aspetti poteva essere Bloomberg a Ny - con tutte le contraddizioni del caso, ma non più di quelle di certe sinistre.
- I partiti populisti: la tendenza precedente - Nigel Farege per esempio? - di premiare un certo tipo di tematiche e un certo modo di affrontarle, in queste elezioni si è fermata. Il partito anti-euro, l'Afd, è rimasto fuori dal parlamento con meno del 5 per cento dei consensi. Dato importante: d'altronde l'elettore tedesco, non poteva essere così istintivo e spaventato come altri.