Hydrodamalis gigas skeleton, Muséum national d’histoire naturelle, Paris, 2008, FunkMonk
Il naturalista bavarese Georg Wilhelm Steller si trovava al seguito della seconda spedizione (1733–1743) capitanata dal danese Vitus Bering per l’esplorazione della Siberia, spedizione patrocinata dalla zarina Anna come proseguimento dell’opera del predecessore Pietro il Grande, che intendeva scoprire se l’Asia e l’America del Nord fossero unite da un istmo o separate da uno stretto. Durante l’esplorazione, nel 1741 Bering e Steller a bordo della nave Saint-Pierre restarono impressionati dalla presenza di enormi animali lunghi fino a nove metri che nuotavano nelle acque poco profonde delle insenature di quello che oggi è chiamato mar di Bering. Questi giganti marini avevano una pelle bruna, con striature più chiare dovute all’accumulo di grasso, le zampe anteriori si erano trasformate in pinne, mentre al posto delle zampe posteriori c’era una pinna bifida. Si cibavano di alghe, sguazzavano placidamente, permettendo ai gabbiani di posarsi sul loro dorso per mangiare i crostacei parassiti numerosi nelle pieghe della pelle, si lasciavano avvicinare senza timore e dormivano in posizione supina. Non potendo classificarli come trichechi, otarie o foche, per la evidente differenza anatomica, Steller riconobbe comunque che si trattava di una specie appartenente all’ordine di mammiferi acquatici erbivori dei Sirenii, pur con caratteristiche uniche e mai prima osservate. Battezzato vacca di mare, questo animale, poi noto come Ritina (Hydrodamali gigas) o vacca di Steller, popolava anticamente una zona geografica molto ampia, comprendente quasi tutto il continente americano e la Groenlandia. All’epoca della spedizione di Bering la distribuzione delle vacche di mare si era già notevolmente ridotta, limitata all’area tra la Siberia e l’Alaska, nelle acque delle isole Commander, e calcolata intorno ai 2000 esemplari. Questi animali indifesi e miti, massacrati nel corso dei millenni per la loro carne e il grasso, furono ulteriormente e definitivamente decimati sin dal momento della loro scoperta ad opera di Steller. Nel giro di nemmeno trent’anni venne sterminata un’intera specie, adesso l’unico modo per avere un’idea dell’aspetto di questa mastodontica ritina, che poteva raggiungere le tredici tonnellate di peso, è guardare lo scheletro conservato in alcuni musei o le immagini dei ritratti che sono stati fatti dagli osservatori. Più volte si è creduto di avvistare esemplari di vacca di Steller, ma i risultati non sono mai stati soddisfacenti, nel senso che a tutt’oggi non ci sono elementi per garantire una sua sopravvivenza effettiva dopo la data della sua conclamata estinzione, il 1768. La ritina compare in un racconto di Rudyard Kipling (The White Seal, La foca bianca) pubblicato nel 1893, mentre nel 2012 il regista Etienne De France ha realizzato il documentario “Tales of a sea cow” [1] basandosi sui dati delle varie spedizioni e ricostruendo la storia e l’esistenza della vacca di Steller.
© Marco Vignolo Gargini