Titolo Originale: Doubt
Titolo Inglese: Rabbit Doubt
Storia: Yoshiki Tonogai
Disegni: Yoshiki Tonogai
Edit. Originale: Square Enix
Tipologia: Shounen
Genere: Horror, Mistero, Psicologico, Thriller
Anno: 2007
Vol. originali: 4
Voto:
Trama: In Giappone c’è un gioco molto in voga, specialmente tra i ragazzi: Rabbit Doubt. I partecipanti, i conigli, cercano il lupo che si nasconde tra loro e devono trovarlo e smascherarlo prima che lui uccida tutti, uno ad uno. Giochino divertente, finchè per Yu, Mitsuki, Rei, Hajime, Eiji e Haruka, lo spassoso passatempo non diverrà brutalmente, terribilmente reale, trasformandosi in tragedia. I ragazzi, che da sempre hanno partecipato virtualmente, decideranno d’incontrarsi. Poco dopo, essi verranno rapiti e si ritroveranno a dover cercare il vero lupo, che li ha rinchiusi in una struttura agghiacciante, simile ad un ex manicomio. Da lì avrà inizio il gioco, in cui sarà meglio trovare il colpevole, prima che si prenda le loro vite.
Recensione: Preferendo i libri ai manga, per seguirne uno deve colpirmi come un pugno in un occhio. E così, ecco che un bel giorno mi accorgo che esiste questa storia che mi puzza di Deathnote a kilometri di distanza. Vedendo i disegni ben fatti ed elementi inquietanti disseminati qua e là, con tanto di assassino (chiamatemi sadica, ma se non muore nessuno, quasi ci rimango male), ho deciso tutta contenta di affrontare la simpatica lettura.
Una cosa che volevo sottolineare (perché proprio non posso stare ferma), è il magistrale uso delle onomatopeiche: non inventate; qualcosa di più. Parole prive di senso, accostamenti di lettere nati dal nulla. Doubt ne è pieno! Anzi, ce ne sono talmente tante, da surclassare i dialoghi! La faccenda salta talmente all’occhio, che a un certo punto ho preso il volume due e me le sono segnate una ad una. Eccovele qua: gtshh-grab-flap-frush (ogni tanto mantengono un classico)-stang-sdang (ovviamente, c’era la necessità della variante con la “d”)-swoush-grii-gnack-blup blup-gnick-tunf-dash-rattle-sha-gnup-gtsh-crack (ma guarda te…)-thud-bdok-clang-sting-sbam-plick plick (usata per le gocce di sangue che colano dal soffitto)-clank-zwum zwum-bzzz-swass-wham-flash-frup-tap-gulp-click-clack-gwip-plof-gwup-tooonk-bip-plosh-strapp-swish-zzz-gwoh-crack- pip pip pip pip (che addirittura indicherebbe il suono del cellulare) -swiish (la ormai nota variante dello “swish”). E con questo scusatemi, dovevo farlo, anche perché non ci ho dormito la notte.
Dicevamo? Ah si, i dialoghi sono semplici: non aspettatevi il classico ragionamento arzigogolato da rileggere tre volte; è fatto per andare veloce (si fa per dire, perché blaterano un bel po’, incolpandosi e litigando), fino al punto in cui muore qualcuno. I personaggi sono ben caratterizzati: talmente bene, che ci si ferma un attimo prima di cadere nello stereotipo. Yu è il classico ragazzo della porta accanto, che sembra quasi nato per fare l’eroe senza macchia e senza paura. Infatti nei giudizi molte volte arriva prima il suo istinto, che la testa. Di Mitsuki ce n’è una in ogni manga: la tipica ragazza timida, migliore amica di Yu, che conta anche troppo nella loro amicizia, tanto da nutrire forse qualcosa di più per lui. Rei, in precedenza una “star della televisione”, è un’adolescente confinata sulla sedia a rotelle in seguito ad un brutto incidente, mentre Hajime è il sapientone da manuale: tutto testa, è colui che più sa mantenere il sangue freddo e utilizzare la logica. Eiji e Haruka sono un fine abbinamento di persone che cercano di sembrare forti a tutti i costi: lui, nonostante non sia poi tanto adulto, ha il classico atteggiamento da bullo menefreghista; lei, Haruka, un po’ (tanto) sopra le righe, tra le molte cose sembra anche una facile.
Così, questa strana accozzaglia di gente, si ritrova a dubitare l’uno degli altri. La difficoltà maggiore sarà uscire da quel tetro palcoscenico di morte, visto che le porte si aprono ognuna con un solo codice a barre per ogni ragazzo (si, perché praticamente si svegliano lì dentro marchiati come i prodotti al supermercato). In pratica sono sigillati là dentro; man mano che vai avanti con la lettura, ti rendi conto che più che ridare sul “Deathnote”(anche se la figura di Hajime per come disegnata mi riporta un po’ ad L, come tra l’altro mi ci fanno pensare i disegni dei corpi dei malcapitati e il lupo nelle sue smorfie più inquietanti), ricorda molto “Saw – L’enigmista” .
Beh, ovviamente il cattivone non ve lo dico chi è. Aggiungo solo, che più leggo certi finali, più penso che i giapponesi di testa non stiano tanto bene; alcuni avrebbero preferito quasi che il manga si fosse fermato al terzo volume, perché più si va avanti più ci si avvicina davvero al manicomio; avvenimenti indicibili, moventi che si aggrovigliano, tanto che per porre fine allo scempio ti viene da alzarti in piedi e dire “basta, finitela, il lupo sono io perché non ne posso più!” Tuttavia a me non è dispiaciuto il “the end” fatto in questo modo; di certo perlomeno è bizzarro e inconsueto, quello ve l’assicuro. Anche perché, non sarebbe normale, nè sano, aspettarsi una cosa del genere. Non oso nemmeno immaginare cosa potrebbe accadere nel seguito (che ancora in Italia non esiste), composto da sei volumi, chiamato Judge.
Comunque, la narrazione (di Doubt) è incalzante, il mistero è ben preservato, fino a condurre all’inimmaginabile sorpresa finale. In conclusione, non sarà la saga a cui magari vi affezionerete di più, ma è un ottimo passatempo se si vuole dare uno sguardo a qualcosa di diverso.