Magazine Cultura
di Joe Wright (GB, 2012)
con Keira Knightley, Jude Law, Aaron Johnson, Kelly MacDonald, Matthew MacFayden
VOTO: ***/5
Una sola, bellissima idea: ambientare l'intero dramma di Anna Karenina in un vecchio e decadente teatrino della Russia zarista, simbolo evidente del declino storico e culturale di una nazione che si stava avviando a un doloroso capolinea. L'ennesima versione cinematografica del romanzo di Tolstoj è così 'concentrata' nell'angusto spazio di un palcoscenico, quasi come un millimetrico passo di danza, e ci riporta a discussioni d'altri tempi: quelle sulla liceità e il bisogno del 'teatro filmato', spacciato come cinema... basti pensare all' Amleto di Sir Laurence Olivier, contestatissimo premio Oscar nel 1948 o, più recentemente, al Dogville di Lars Von Trier. Può, cioè, considerarsi cinema a tutti gli effetti la ripresa di una rappresentazione teatrale, per quanto sapientemente illuminata dalla fotografia di Seamus McGarvey, che contribuisce molto a restituirci quell'atmosfera rarefatta e irreale, ben in linea con l'artificiosa e ipocrita alta società dell'epoca?
Sono domande che lasciamo volentieri ai 'puristi'. A noi interessa parlare del film (o del teatro, se preferite). Che, al netto della sontuosa confezione che innegabilmente colpisce e affascina lo spettatore, non aggiunge poi molto alla tragica vicenda dell'aristocratica e infelice Anna (una sempre più brava Keira Knightley, ormai attrice-feticcia del regista, nevrotica, ossuta, dolente e splendidamente in parte), costretta a dividersi tra un matrimonio infelice (quello con Aleksej Karenin - Jude Law - ufficiale governativo) e l'amore impossibile e senza futuro con l'affascinante conte Vronskij (interpretato dal seducente Aaron Johnson). Una passione dirompente e perversa, senza possibilità di redenzione, eppure così travolgente da sovvertire le rigide regole sociali dell'epoca. Fino all'autodistruttiva catarsi finale, lungo i gelidi e oscuri binari di una stazione di provincia...
Il film di Joe Wright fila via lento e compassato come i treni che aprono e chiudono la storia. Per questo noi spettatori possiamo tranquillamente soffermarci sugli splendidi costumi d'epoca, le mirabilanti scenografie, l'avvolgente partitura musicale del nostro Dario Marianelli, senza timore di perdere alcun elemento di una storia assolutamente classica e senza sorprese. Ma, appunto, tolta tutta la parte 'scenica', alla fine si fa un po' fatica a comprendere il bisogno di una versione cinematografica che, dal punto di vista narrativo, aggiunge veramente poco a quanto ci si aspetta. E' un po' il destino di tutti i grandi classici del cinema: dopo tante e tante versioni, onestamente qualche sbadiglio affiora se in tutta la pellicola non c'è alcun elemento di novità, qualcosa che possa farci ricordare una messinscena almeno un po' diversa da quelle che l'hanno preceduta.
Ecco, nel film di Wright questo 'qualcosa' non c'è: se vi accontentate di un robusto drammone in costume e volete perdervi nella vacuità dell'epoca zarista, allora questo è ciò che fa per voi. Magari con una buona tazza di camomilla tra una scena di ballo e l'altra...
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